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giovedì 3 marzo 2016

Leggendo Mario Luzi: La sera non è più la tua canzone

di Mario Luzi
(da La ferita dell'essere, ed. La Repubblica)
(Commento di Angelo Perrone)

La sera non è più la tua canzone,


è questa roccia d'ombra traforata


dai lumi e dalle voci senza fine,


la quiete d'una cosa già pensata.
Ah questa luce viva e chiara viene


solo da te, sei tu così vicina


al vero d'una cosa sconosciuta,


per nome hai una parola e s'è perduta.
Caduto è più che un segno della vita,


riposi, dal viaggio sei tornata


dentro di te, sei scesa in questa pura


sostanza così tua, così romita


nel silenzio dell'essere, compiuta.



L'aria tace ed il tempo dietro a te


si leva come un'arida montagna


dove vaga il tuo spirito e si perde,


un vento raro scivola e ristagna.


 

(ap) Il 28 febbraio 2005 moriva Mario Luzi. Manca oggi la presenza di un uomo semplice e modesto, non la sua poesia. La nobiltà del ricordo di Mario Luzi (1914-2005) è sancita da una lapide posta nella basilica di Santa Croce a Firenze, dove quel nome è rammentato tra i grandi della storia, da Dante Alighieri a Michelangelo Buonarroti, da Galileo Galilei a Vittorio Alfieri.
Laureatosi in letteratura francese, la sua prima scelta universitaria fu però la facoltà di legge, ma in breve il richiamo della poesia e della letteratura prevalse su quello del diritto. 
Fu in occasione del suo novantesimo compleanno, nel 2004, che il Presidente Ciampi lo nominò senatore a vita. Alla sua morte, appena un anno dopo, ricevette l’ossequio di molti, personaggi di rilievo e gente qualunque.
Non aveva mai smarrito l’umiltà d’animo e la modestia, con le quali fu sempre disponibile al dialogo, ricevendo spesso, anche negli ultimi anni di vita, studenti interessati al suo lavoro e al suo pensiero, e accettando con loro un confronto intenso.
Gli studiosi lo indicano come espressione della famiglia degli ermetici, anzi il più alto rappresentante dell’ermetismo fiorentino, perché la sua poesia appare a molti «ermeticamente chiusa». 
Il verso suo, così rivestito di tristezza e di inquietudine, quasi disincantato, è, in profondità, fondamentalmente difficile, appunto ermetico. Lo è per l’uso continuo di immagini simboliche, associate tra loro, intervallate dalla sonorità di parole mai casuali, con una sequenza che stupisce sempre.
La lirica moderna di Luzi recupera forme del romanticismo visionario in cui ricorrono le immagini dei paesaggi lunari, delle città spettrali, con i marmi e le pietre preziose, ma anche degli ambienti quotidiani, e dei paesaggi esotici.
In componimenti come «La sera non è più la tua canzone», il verso diventa esperienza dell’esistenza, una creazione letteraria oscillante tra dolore e speranza, nella ricerca, percepita come vana ed effimera, del frammento di vita perduto e smarrito.
Il senso sfuggente del tempo domina la poesia e si connota innanzi tutto della percezione della perdita dei tratti della personalità. Il passare del tempo non provoca solo effetti estetici, mutando l’immagine corporea e le sembianze umane, ma crea un senso di doloroso smarrimento dell’interiorità stessa.
Nel confronto tra identità e mutamento, l’incerta speranza del poeta scruta l’essenza del passato e il suo problematico divenire inseguendo il miraggio di una ricomposizione dell’esistenza e della sua impossibile armonia.
La ricerca del sé pervade questa poesia scrutando i momenti trascorsi e i confini del nuovo e soprattutto enuncia gli esiti del tempo, che provocano sorprese inquietanti (appunto la sera non è più la tua canzone).
Ma ambisce anche a ritrovare l’autenticità del proprio essere, le radici vere dell’esistenza, un recupero del proprio io, una saldatura tra apparenza e sostanza, pur nel tempo che muta inesorabile, in modo da poter dire di aver percepito l’altro nella sua vera identità: «Sei scesa in questa pura sostanza così tua».
Il senso di precarietà e di incertezza nella vita quotidiana ma anche la convinzione di una conoscenza profonda delle cose e delle persone furono rappresentati da Luzi in modo esemplare quando scrisse: «È incredibile ch'io ti cerchi in questo o in altro luogo della terra dove è molto se possiamo conoscerci. Ma è ancora un'età, la mia, che s'aspetta dagli altri quello che è in noi oppure non esiste» (da Aprile-amore, in Primizie del deserto).

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