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martedì 17 gennaio 2017

Le vecchine di via del Plebiscito

Racconto
di Vespina Fortuna

Quella mattina, Pietro, come tutte le altre mattine dei giorni feriali, camminava su corso Vittorio Emanuele verso il suo ufficio, in via del Plebiscito. Era primavera, c’era un bel solicello leggero e i gatti, sotto i ruderi di Largo Argentina, si leccavano via la polvere della notte e si pulivano gli occhi ancora addormentati con leggere e svogliate zampate, in attesa della caccia per la colazione. A quel tempo a Roma non c’erano né piccioni ne’ gabbiani, almeno non così numerosi come oggi, però il cielo, ogni tanto, gli richiamava lo sguardo con un volo di rondinelle festanti.



Quella mattina, Pietro era in anticipo, ma l’aria frizzantina lo induceva comunque ad un passo veloce ed energico. Superò il largo e proseguì di buona lena. Un omnibus, il vecchio tram trainato da cavalli, veniva veloce da Piazza Venezia su via del Plebiscito per raggiungere la fermata di Torre Argentina. Lo scalpiccio degli zoccoli superava il rumore delle ruote sull’acciottolato ed il brusio dei passeggeri. Una vecchina attraversava la strada per andare a comperare il pane fresco in Piazza del Gesù, richiamata dalla voce della sorella alla finestra, si voltò d’improvviso perdendo l’equilibrio.


Il conducente dell’omnibus provò a frenare i  cavalli e tutti i passeggeri urlarono per lo spavento. Pietro, che da lontano aveva visto la scena, prese a correre, lanciando a terra la cartella coi documenti che si portava dietro e, preso da un momento di eroica follia, abbracciò la donna e rotolò con lei al di là della corsia del tram. Quando si rialzarono, erano entrambi escoriati e indolenziti, ma ancora sani e salvi. Molti arrivarono in soccorso, l’autista, ancora scioccato non trovava la forza per scendere, furono portati bicchieri d’acqua, seggiole per i contusi e, una donna affannata riportò a Pietro la sua cartella. Piazza del Gesù si trasformò in un luogo festoso e tutti si abbracciarono felici.


Alla fine, tutto tornò alla normalità. I passeggeri risalirono sul tram che ripartì lentamente, la vecchina chiese a Pietro di accompagnarla a comprare il pane e poi di aiutarla a salire le poche scale di casa. Quando arrivarono, l’altra sorella stava sulla porta con il naso rosso ed un fazzoletto zuppo di lacrime. Aiutò la gemella a sedersi e obbligò Pietro a prendere un caffè insieme. Non ci furono ma che potessero tenere, l’uomo fu costretto ad accettare e poi scappò in ufficio, ma con la solenne promessa di tornare ancora a trovare le due padrone di casa.
Da quella volta, ogni giorno feriale, Pietro non poté fare a meno di buttare un occhio al secondo piano di via del  Plebiscito per guardare la finestra delle vecchine. Passò una settimana, due, tre. Le persiane di quell’appartamento erano sempre chiuse. Un giorno, Pietro si fece coraggio ed entrò per chiedere al portiere loro notizie. “Quali vecchine?” rispose quello, alquanto stupito. “Le gemelle, le signore del secondo piano!” rispose Pietro, quasi seccato con quello che sembrava  non volesse capire. “Quelle due donne sono morte già da due anni!” Rispose l’altro dispiaciuto di dover dare una simile notizia all’uomo che forse era un parente. “Non è possibile! Come, morte? Qualche settimana fa, ho preso il caffè con loro!”


Il portiere si tolse il berretto e si grattò il capo. Quell’uomo doveva essere pazzo. “Venga” gli disse e lo portò fuori dal portone. “Vede quello slargo? Proprio lì, due anni fa, una delle due sorelle fu investita da un omnibus e l’altra, che la stava guardando dalla finestra, morì per un infarto. Furono seppellite insieme, povere donne! Dunque, vede, sono certo che lei si sbagli, non è possibile che abbia preso un caffè con loro, solo qualche settimana fa. Sono morte da due anni.” Pietro si accasciò a terra, scivolando sul muro del palazzo. “Non è possibile! Non è possibile!” continuava a ripetere senza riuscire a darsi pace.
Il portiere fu tentato di rientrare in guardiola e lasciarlo lì a smaltire quella sbornia mattutina, poi la pietà fu più forte. Non sembrava ubriaco ed era un uomo a posto. Ben vestito, rasato, pulito, con una cartella di cuoio stretta in mano. Preso da un momento di generosità lo invitò a seguirlo al secondo piano. L’appartamento era rimasto sfitto e lui aveva le chiavi per poterlo mostrare ad eventuali affittuari. Pietro gli andò dietro con le gambe che tremavano e la testa che ronzava. Entrarono. La casa era buia, polverosa e odorava di chiuso. Sui mobili erano state stese delle lenzuola bianche e alcune ragnatele si muovevano con la poca aria che entrava dalla porta aperta. “Vede?” chiese il portiere a Pietro.


Come un automa, Pietro rifece il percorso che ben conosceva, andò in cucina, era tutto in ordine e ben chiuso, ma sulla tavola, accanto ad un centrino all’uncinetto che proteggeva il legno da una fruttiera vuota e polverosa, c’erano tre tazzine da caffè, ancora con i fondi sporchi. Pietro pensò di chiamare il portiere per dimostrare che non si fosse sbagliato, poi rinunciò. Tornò indietro e chiese scusa per il disturbo. Scese le scale ed andò in ufficio. Scrisse questa breve storia e la mise in una busta sigillata per chiuderci dentro i fantasmi delle due vecchine di via del Plebiscito.

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