di Vespina Fortuna
Quella
mattina, Pietro, come tutte le altre mattine dei giorni feriali, camminava su
corso Vittorio Emanuele verso il suo ufficio, in via del Plebiscito. Era
primavera, c’era un bel solicello leggero e i gatti, sotto i ruderi di Largo
Argentina, si leccavano via la polvere della notte e si pulivano gli occhi
ancora addormentati con leggere e svogliate zampate, in attesa della caccia per
la colazione. A quel tempo a Roma non c’erano né piccioni ne’ gabbiani, almeno
non così numerosi come oggi, però il cielo, ogni tanto, gli richiamava lo
sguardo con un volo di rondinelle festanti.
Quella
mattina, Pietro era in anticipo, ma l’aria frizzantina lo induceva comunque ad
un passo veloce ed energico. Superò il largo e proseguì di buona lena. Un
omnibus, il vecchio tram trainato da cavalli, veniva veloce da Piazza Venezia
su via del Plebiscito per raggiungere la fermata di Torre Argentina. Lo
scalpiccio degli zoccoli superava il rumore delle ruote sull’acciottolato ed il
brusio dei passeggeri. Una vecchina attraversava la strada per andare a
comperare il pane fresco in Piazza del Gesù, richiamata dalla voce della
sorella alla finestra, si voltò d’improvviso perdendo l’equilibrio.
Il
conducente dell’omnibus provò a frenare i
cavalli e tutti i passeggeri urlarono per lo spavento. Pietro, che da
lontano aveva visto la scena, prese a correre, lanciando a terra la cartella
coi documenti che si portava dietro e, preso da un momento di eroica follia,
abbracciò la donna e rotolò con lei al di là della corsia del tram. Quando si
rialzarono, erano entrambi escoriati e indolenziti, ma ancora sani e salvi.
Molti arrivarono in soccorso, l’autista, ancora scioccato non trovava la forza per
scendere, furono portati bicchieri d’acqua, seggiole per i contusi e, una donna
affannata riportò a Pietro la sua cartella. Piazza del Gesù si trasformò in un
luogo festoso e tutti si abbracciarono felici.
Alla
fine, tutto tornò alla normalità. I passeggeri risalirono sul tram che ripartì
lentamente, la vecchina chiese a Pietro di accompagnarla a comprare il pane e
poi di aiutarla a salire le poche scale di casa. Quando arrivarono, l’altra
sorella stava sulla porta con il naso rosso ed un fazzoletto zuppo di lacrime.
Aiutò la gemella a sedersi e obbligò Pietro a prendere un caffè insieme. Non ci
furono ma che potessero tenere, l’uomo fu costretto ad accettare e poi scappò
in ufficio, ma con la solenne promessa di tornare ancora a trovare le due
padrone di casa.
Da
quella volta, ogni giorno feriale, Pietro non poté fare a meno di buttare un
occhio al secondo piano di via del
Plebiscito per guardare la finestra delle vecchine. Passò una settimana,
due, tre. Le persiane di quell’appartamento erano sempre chiuse. Un giorno,
Pietro si fece coraggio ed entrò per chiedere al portiere loro notizie. “Quali
vecchine?” rispose quello, alquanto stupito. “Le gemelle, le signore del
secondo piano!” rispose Pietro, quasi seccato con quello che sembrava non volesse capire. “Quelle due donne sono
morte già da due anni!” Rispose l’altro dispiaciuto di dover dare una simile
notizia all’uomo che forse era un parente. “Non è possibile! Come, morte?
Qualche settimana fa, ho preso il caffè con loro!”
Il
portiere si tolse il berretto e si grattò il capo. Quell’uomo doveva essere
pazzo. “Venga” gli disse e lo portò fuori dal portone. “Vede quello slargo?
Proprio lì, due anni fa, una delle due sorelle fu investita da un omnibus e
l’altra, che la stava guardando dalla finestra, morì per un infarto. Furono
seppellite insieme, povere donne! Dunque, vede, sono certo che lei si sbagli,
non è possibile che abbia preso un caffè con loro, solo qualche settimana fa.
Sono morte da due anni.” Pietro si accasciò a terra, scivolando sul muro del
palazzo. “Non è possibile! Non è possibile!” continuava a ripetere senza
riuscire a darsi pace.
Il
portiere fu tentato di rientrare in guardiola e lasciarlo lì a smaltire quella
sbornia mattutina, poi la pietà fu più forte. Non sembrava ubriaco ed era un
uomo a posto. Ben vestito, rasato, pulito, con una cartella di cuoio stretta in
mano. Preso da un momento di generosità lo invitò a seguirlo al secondo piano.
L’appartamento era rimasto sfitto e lui aveva le chiavi per poterlo mostrare ad
eventuali affittuari. Pietro gli andò dietro con le gambe che tremavano e la testa
che ronzava. Entrarono. La casa era buia, polverosa e odorava di chiuso. Sui
mobili erano state stese delle lenzuola bianche e alcune ragnatele si muovevano
con la poca aria che entrava dalla porta aperta. “Vede?” chiese il portiere a
Pietro.
Come
un automa, Pietro rifece il percorso che ben conosceva, andò in cucina, era
tutto in ordine e ben chiuso, ma sulla tavola, accanto ad un centrino
all’uncinetto che proteggeva il legno da una fruttiera vuota e polverosa,
c’erano tre tazzine da caffè, ancora con i fondi sporchi. Pietro pensò di
chiamare il portiere per dimostrare che non si fosse sbagliato, poi rinunciò.
Tornò indietro e chiese scusa per il disturbo. Scese le scale ed andò in
ufficio. Scrisse questa breve storia e la mise in una busta sigillata per
chiuderci dentro i fantasmi delle due vecchine di via del Plebiscito.
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