Racconto di Vespina Fortuna
Al civico 28 di Via Francesco Grenet,
interno 16/A, accadde un fatto davvero curioso. Mi sovviene solo adesso, dopo
tanti anni, chissà perché? La memoria fa scherzi strani, ti cela un avvenimento
e poi, basta un niente per riportarti a galla ricordi tenuti sommersi per anni.
All’interno 16/A, terzo piano, viveva la
signora Adele. Era una donna comune, gentile e rispettosa del prossimo, come
potrebbe essere una qualsiasi donna di
una trentina d’anni che vive sola e si fa gli affari suoi, senza ficcanasare o
spettegolare. Non ricordo che lavoro facesse, forse era un’insegnante delle
scuole medie, ma non ne sono certa, comunque per il nostro racconto non ha
importanza vitale.
Anch’io, allora, vivevo nello stesso palazzo
e allo stesso piano della signora Adele, ma la cosa curiosa è che, mentre io
diventavo grande e passavo dall’infanzia all’adolescenza, lei rimaneva sempre
uguale. E vi assicuro che non era per il fatto che si fosse potuta tingere i
capelli né tantomeno aver ritoccato le rughe, era davvero precisa, sempre la
stessa, perennemente trentenne.
Un giorno, mi accorsi che non era più
sola. Una donna che le somigliava davvero molto era venuta a vivere con lei.
Pensai che fosse la sorella maggiore per quanto si assomigliavano, se fosse
stata meno vecchia, avrei puntato sul fatto che fossero gemelle, tanto erano
simili a due gocce d’acqua. Solo che, l’ultima arrivata, aveva qualche piccola
ruga intorno agli occhi, i capelli appena grigi e si muoveva meno agilmente
dell’altra.
Era una domenica, me lo ricordo bene
perché quel giorno della settimana ci concedevamo sempre il dolce, entrai
nell’ascensore col mio bel vassoio di pasticcini profumati, salii al terzo
piano e, sul pianerottolo, incontrai le due donne che aspettavano l’ascensore.
“Buongiorno” dissi io guardando per la prima volta, con sorpresa, la gemella
anziana. “Buongiorno” risposero loro all’unisono, in un unico coro che mi
sembrò fatto di una sola voce. Rientrai in casa e chiesi lumi ai miei familiari,
ma né mia madre né mio padre né, tanto meno mia sorella, avevano mai visto Adele
II. All’inizio la cosa mi incuriosì, feci pure delle indagini in avanscoperta,
ma non cavando alcun ragno dal buco, lasciai perdere. A quell’età, avevo ben
altri pensieri per la testa! C’erano i primi amori, la scuola, gli approcci alla
politica, gli amici e tutti i problemi adolescenziali.
Trascorsero altri anni, ormai ero già grande.
Il 13 maggio, lo ricordo perché era il compleanno di mio padre e mio marito ed
io andavamo a festeggiare l’evento. Entrando in casa dei miei vidi una donna
anziana che camminava un poco curva appoggiandosi al bastone, stavo per
salutarla, certa che si trattasse di Adele II, ma feci appena in tempo a
trattenermi perché dopo di lei uscì la Adele di mezza età e pure quella
giovane, precisa a come me la ricordavo da bambina.
Adesso erano diventate tre, le gocce
d’acqua! Le salutai con la mano e loro, contemporaneamente fecero altrettanto.
Entrai in casa, baciai i miei, diedi gli auguri al babbo e mi affacciai al
balcone per guardare le tre donne uscire dal portone. “Che guardi?” mi chiese
la mamma. “Le tre inquiline del 16/A” risposi io con un occhio alla strada e
uno rivolto alla mia interlocutrice in
cerca di una spiegazione. “Quali inquiline?” domandò lei, sorpresa. “La signora
Adele e le sue sorelle maggiori, le ho appena viste uscire dalla porta di
casa.” “Ah!” sorrise lei “Ancora sei fissata con la signora Adele e la sorella?
Adesso, addirittura, sono diventate tre?” Uscì dalla stanza scotendo il capo.
Attesi altre dieci minuti almeno, ma nessuno uscì in strada dal cancello del
civico 28 di Via Grenet.
Testarda come sono, tornai dalla mamma,
risoluta a farmi dire tutto quel che sapeva di quella strana storia. “Possibile
che in tutti questi anni, non ti sia mai capitato di incontrare la signora Adele?
E, se ti è successo, non ti sembra strano che sia sempre giovane? E le sorelle?
Nemmeno quelle hai visto mai?” La mamma parve preoccupata nel vedermi così
sconvolta, mi prese la mano e m’invitò a sedere sulla sedia della cucina,
mentre lei continuava a preparare l’impasto dei ravioli.
Sembrò cercare le parole più dolci, poi
mi disse semplicemente “La signora Adele è morta tanti anni fa, tesoro. Tu
avrai avuto tredici o quattordici anni. Non puoi ricordarlo perché morì
d’estate ed eri in vacanza dai nonni.
Quell’appartamento restò sfitto per molto tempo, ma adesso al 16/A abita
una famiglia di quattro persone. Ti assicuro, cara, che quando vedesti la
seconda donna, la signora Adele era già passata a miglior vita. Non ti dicemmo
niente, allora, perche insistevi così convinta di averla vista, anzi di averne
viste due, che non ci sembrò il caso di dirti che ti sbagliavi o, che forse,
avevi semplicemente visto il suo fantasma.” Me lo confessò in modo talmente
normale che non mi spaventai, anzi, appresi quella notizia quasi come un
privilegio che era capitato esclusivamente a me. Tornai al balcone e guardai in
strada “Eccole!” gridai io alla mamma, ma mentre lei arrivava, quelle si
voltarono e mi salutarono all’unisono, svoltando l’angolo. Fu l’ultima volta
che le rividi.
Per tutto il giorno non pensai ad altro,
quello sarebbe stato l’ultimo compleanno di mio padre, ma non potevo certo
saperlo, lo sprecai a pensare alla signora Adele e alle altre sue due età che
lei, poverina, non conobbe mai.
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