(Le foto di Pontedera sono di Franco Silvi)
(ap) Nessun
colpo di scena all’ultimo momento. Si chiude davvero. Il 13 settembre è la data
ormai segnata per la chiusura di molti uffici giudiziari, tra cui tutte le 220
sezioni distaccate, compresa quella di Pontedera, cui, un anno fa, fu dedicato
il “pezzo” Lavorando in una sezione
distaccata di Tribunale, pubblicato in questo Blog.
Prende
il via la riforma della “geografia giudiziaria”, fondata esclusivamente sul
criterio dell’accorpamento delle sedi giudiziarie “minori” a quelle di maggiore
dimensione. Una decisione presa per ragioni di economia nella spesa pubblica in
nome del pur sacrosanto risparmio in tempi di crisi, per una cifra globale che
è difficile calcolare.
Tuttavia,
non solo le polemiche, che pure hanno animato il dibattito culturale di questi mesi, quanto molte prese di posizione segnalano
drammaticamente il momento che costituisce il punto di partenza di questa importante
riforma. Che è incerto e poco rassicurante.
Ben 45
decreti ministeriali hanno autorizzato la prosecuzione dell’utilizzo delle sedi
soppresse. Per le più diverse finalità, come la tenuta di quantità
impressionanti di fascicoli e di carte che non possono trovare collocazione
altrove, lo smaltimento delle pendenze, e la stessa celebrazione dei processi,
che altrimenti non potrebbe avvenire nelle sedi accorpanti. Il ministro della
Giustizia ha garantito che tutta la riforma, nonostante ciò, rimarrà in piedi. Ha
precisato: grosso modo.
Decisioni
e avvertimenti (come quel significativo inciso: grosso modo), che indicano e confermano l’affanno di un sistema di
fronte al nuovo che avanza. Verrebbe da dire: una riforma pur necessaria ma senza
sostegno, senza risorse, senza una strategia innovativa, senza programmazione tecnologica, persino senza un
disegno organizzativo che disciplini il passaggio dal vecchio al nuovo, e, più
modestamente dica in che modo il sistema giudiziario potrà, se non accrescere,
almeno mantenere la necessaria dignità di funzionamento.
Il
silenzio dell’opinione pubblica sul punto fa intendere quanto sia ancora arduo
e lento il percorso perché, secondo il
sentire delle democrazie liberali occidentali, la giustizia sia davvero
percepita come “bene comune”.
Una
riforma epocale (taglio del 47% degli uffici), reclamata da tempo e da molti per migliorare il servizio,
finisce oggi per inciampare nei drammatici problemi dell’edilizia pubblica
(insufficiente a contenere nuovi assetti logistici).
La
mancanza di spazi, problema di quasi tutte le strutture accorpanti, comporta
che il risparmio (costituito dalla sola chiusura degli immobili periferici; è impossibile
ì’eliminazione delle altre rilevanti voci di spesa: il personale, i beni
strumentali), se e quando avverrà, dovrà affrontare il prezzo salato della
concentrazione in luoghi insufficienti, già stracolmi di carte e di persone, o
addirittura inadatti tecnicamente, quando si vorrà utilizzare gli angusti spazi
esistenti per le accresciute esigenze lavorative. Il tutto con un rischio
prevedibile per l’efficienza del servizio.
Una
carenza che stride terribilmente con la rinuncia all’utilizzazione di molti edifici
nuovi costruiti di recente per talune sedi, di cui è stata decisa poi la
soppressione, e che minaccia di determinare uno spreco di risorse.
Nessuna
valutazione preventiva hanno meritato i problemi della sicurezza statica degli
edifici esistenti, quelli dei trasporti e dei collegamenti tra luoghi spesso
assai distanti, dell’accesso in immobili
talora collocati nei centri storici, della diffusione geografica degli
uffici, senza che vi fossero innovazioni, volte a rendere agevole questo
cambiamento.
L’accorpamento
precede la soluzione dei problemi di informatizzazione delle procedure giudiziarie
e non affronta la questione della consistenza delle sedi giudiziarie al fine di
ridurre il divario tra quelle troppo grandi e quelle troppo piccole, alla
ricerca di una dimensione intermedia più funzionale, lasciando inalterato un
rapporto di squilibrio, che non consente di individuare un reale beneficio per
il cittadino.
Una
regola non solo economica, ma di buon senso, mette in evidenza che qualsiasi risparmio,
perché sia reale e costruttivo, richiede tempo, non può essere il risultato di
tagli generalizzati, presuppone infine necessariamente uno sforzo imponente di
investimenti e una sapienza riorganizzativa e manageriale.
La
stessa qualità del lavoro non è apparsa, nella riforma, tra i criteri di
valutazione delle diverse realtà giudiziarie, per apprezzare non solo il lavoro
svolto in molte sedi destinate poi alla chiusura, ma allo scopo di ricavarne
programmaticamente, per il territorio e per la riforma stessa, qualche utile
indicazione operativa per il futuro.
In un
contesto così difficile, rischiano di andare disperse energie preziose, umane e
tecniche, realtà magari piccole ma ben funzionanti, buone relazioni lavorative
fondate sulla collaborazione spontanea e partecipata, modelli che forse
potevano offrire qualche ulteriore utilità a questo Paese.
Così, rimanendo
nel più piccolo e periferico dei luoghi (per esempio, a Pontedera), Donatella,
Simonetta, Rosa, Riccardo (nomi di fantasia dati ad alcuni dipendenti dell’ufficio, collaboratori negli ultimi anni
del giudice penale) si apprestano a iniziare un nuovo periodo lavorativo. Lo
faranno come sempre dando il massimo e trovando nella nuova dimensione il modo
e la possibilità di svolgere proficuamente il loro lavoro e di essere
apprezzati da tutti.
Però, con
un pizzico di nostalgia per i tempi che si chiudono, e anche con qualche malinconia.
Non è
bastato a farli sorridere la battuta di Riccardo, il centralinista non vedente,
il quale ha annunciato in corridoio i suoi speranzosi propositi per la nuova
condizione professionale e se ne è uscito sorridente con la frase: “se mi danno
un computer attrezzato per me, lo posso usare tranquillamente, e faccio la mia
parte”.
Mancherà
a tutti quel momento di prima mattina in cui ci si ritrovava davanti alla
macchinetta del caffè (non si perdeva tempo a scendere al bar) per scambiare
poche parole cordiali, e si facevano programmi per la giornata lavorativa.
Mancherà
al giudice quell’ultimo saluto, la sera tardi, con le signore delle pulizie,
che prendevano in consegna il palazzo per lustrarlo a dovere, prima che, il
giorno dopo, fosse pronto ad accogliere di nuovo gli utenti. Con quel profumo
di pulito che capita di sentire solo nelle nostre case e che mette di buon
umore. Ciao, e grazie, Pontedera.
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