Da lungo tempo ormai il sistema giudiziario italiano
versa in una grave crisi di efficienza e di funzionalità, che si traduce in
crisi di credibilità della Giustizia, con una ricaduta sul principio di legalità
e di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
I rimedi a tale situazione
vanno ricercati anzitutto in forti investimenti in risorse di personale
amministrativo e di mezzi ma anche in riforme coraggiose della normativa civile
e penale.
Negli anni passati l’assenza di interventi efficaci – ad esempio –
nel processo civile e in ambito penitenziario e diverse riforme peggiorative
con le leggi ad personam nel settore penale (la riforma della prescrizione nel
dicembre 2005 e la sostanziale depenalizzazione del falso in bilancio, per
citarne due soltanto a titolo esemplificativo) hanno aggravato le condizioni
del sistema.
Solo l’impegno straordinario dei magistrati e del
personale di cancelleria ha potuto contenere i danni peggiori e perfino ridurre
in molti casi l’arretrato, grazie ad una produttività eccezionale. In base ai
dati statistici elaborati dal Cepej – Consiglio d’Europa, la magistratura
italiana nell’anno 2010 ha definito 2 milioni 834 mila procedimenti civili
contenziosi (la Francia ne ha definiti 1 milione 793 mila, la
Germania 1 milione 586 mila) e 1 milione 288 mila cause penali (la Francia ne ha definite 600 mila, la Germania 804 mila): con questi
numeri – che smentiscono falsità e luoghi comuni, che mirano a ribaltare sui
magistrati responsabilità altrui – la magistratura italiana si pone al primo
posto per produttività in Europa nella materia penale e al secondo posto in
quella civile, seconda in questo caso solo alla Russia, che peraltro conta ben
altro numero di magistrati.
I ripetuti annunci diffusi dal nuovo Esecutivo circa l’imminente
riforma della giustizia e l’intensa attività che ha impegnato l’intera estate
hanno generato molte aspettative e speranze. Purtroppo, le notizie finora
diffuse non possono che suscitare delusione. Una prima analisi dell’intervento
del Governo, in attesa che siano resi noti i testi ufficiali definitivi, deve
guardare oltre le entusiastiche dichiarazioni pubbliche e gli slogan
promozionali che l’accompagnano: dichiarazioni e slogan che vogliono
dissimulare, con esibita enfasi, diversi cedimenti e timidezze.
Nel complesso, le iniziative dell’Esecutivo consistono
in interventi contenuti e sono in parte frutto di compromesso. Tali
interventi, purtroppo, non toccano il tema centrale delle risorse, quello che condiziona in larga misura l’efficienza della macchina
giudiziaria, e sono destinati a produrre risultati assai inferiori alle attese.
Pur essendo positiva l’introduzione nel settore
civile di strumenti tesi a promuovere la composizione stragiudiziale
delle liti, questi saranno però poco efficaci se lasciati all’iniziativa
volontaria delle parti, gravati di maggiori oneri economici e non assistiti da
forti incentivi e da sanzioni che scoraggino cause manifestamente infondate.
La riforma, suggerita da una logica di efficienza e da
obiettivi di mera deflazione, sarebbe condivisibile se legata alla promozione
di una qualità del processo come strumento di efficace tutela dei diritti. Sono
invece segnali negativi il prevedibile aumento degli oneri economici legati all’arbitrato
e l’assenza di investimenti in termini di personale di cancelleria.
Nessun intervento è annunciato nelle delicate materie
etiche e bioetiche. Senza entrare nel merito delle possibili
scelte legislative, ancora una volta si osserva come l’inerzia della politica
vada in parallelo con periodiche, violente accuse rivolte ai magistrati di
volersi sostituire al legislatore.
Ma è nel settore penale che i disegni di riforma rivelano i caratteri del compromesso e del
cedimento a pressioni e a veti.
L’annunciata modifica della disciplina della
prescrizione, oggi patologica e patogena, non tocca la riforma del 2005 (con la
c.d. legge ex-Cirielli), prodotto di una delle varie leggi ad personam: si
risolve invece nella debole scelta di introdurre due nuove ipotesi di
sospensione temporanea ed eventuale del suo decorso. L’intervento sulle
impugnazioni pare rinviato ai tempi incerti della legge delega. Si annunciano
complicazioni nella disciplina di acquisizione dei tabulati telefonici (che
sarebbe sottoposta all’autorizzazione del gip) e della pubblicazione del testo
delle intercettazioni nei provvedimenti giudiziari, peraltro con lesione dei
diritti di difesa. Quanto ai nuovi reati di falsità in bilancio e di
autoriciclaggio, destano preoccupazione le pressioni di cui danno conto i mezzi
di informazione, per realizzare una riforma di facciata, a fronte di un’emergenza
del Paese costituita dalla corruzione e dalla criminalità organizzata ed
economica.
Interventi in sé utili, quali la previsione dell’estinzione
di taluni reati a seguito di risarcimento e l’estensione della procedibilità a
querela, non sarebbero in grado, da soli, di produrre benefici consistenti, in
assenza di interventi, sul codice di procedura penale, di ampio respiro e di forte
impatto sull’efficienza complessiva del sistema.
Quanto agli interventi di natura ordinamentale, i disegni di riforma, per quanto ad oggi noto, appaiono il prodotto di un
approccio molto superficiale. Offendono la magistratura
con l’insinuazione che la crisi della giustizia dipenda dalla presunta
irresponsabilità e scarsa produttività dei magistrati e reiterano la
mistificazione di una riforma della giustizia che si pretende di realizzare con
la riforma dei giudici.
L’eliminazione del filtro di ammissibilità delle
azioni di responsabilità civile dei magistrati trascura una casistica che
abbonda di atti di citazione carenti dei minimi requisiti formali, dando così
il via libera ad azioni strumentali. La sospensione feriale dei termini, che si
vuole ridurre, non determina affatto la chiusura dei tribunali e garantisce
anzitutto all’avvocatura una pausa ragionevole dell’attività ordinaria. Le
ferie dei magistrati sono in linea con quelle della categoria dei dirigenti:
esse non sospendono i termini di deposito dei provvedimenti e sono in buona
parte impiegate – per senso deontologico prima che per obbligo di legge – ai
fini dello smaltimento del lavoro.
Se fosse confermata, l’annunciata riduzione delle
ferie, decisa senza alcun previo confronto con la magistratura, sarebbe un
grave insulto non per l’intervento in se stesso ma per il metodo usato e per il
significato che esso esprime. Addirittura, ciò avverrebbe con un decreto legge
a efficacia differita (cioè un ossimoro), quando altre riforme ben più urgenti
sono incerte o rimandate al disegno di legge o addirittura alla legge delega.
La magistratura associata non pone veti ed è pronta a
discutere di tutto ma non potrà tacere di fronte all’inefficacia di una riforma
della giustizia definita rivoluzionaria e che invece, se tali linee fossero
davvero confermate, si ridurrebbe a interventi di scarso respiro e a norme
punitive, ispirate a logiche che credevamo appartenere al passato.
Roma, 09 settembre 2014
(Nota della Giunta Esecutiva Centrale dell’Associazione
nazionale magistrati)
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