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martedì 25 agosto 2015

La maschera della bellezza

di Marina Zinzani
(Commento di Angelo Perrone)

(ap) Una storia che oscilla tra la passione e il ridicolo, tra l’inseguimento disperato di un sogno e la follia. Thomas Mann scrisse "La morte a Venezia" nel 1912 al ritorno da un viaggio nella città lagunare. Uno scrittore tedesco in vacanza vede dalla finestra del suo albergo un ragazzo polacco e rimane fulminato dalla sua bellezza. Nasce morbosa una dipendenza pur solo platonica da quell’immagine, che comporterà uno stravolgimento della vita ordinata e borghese dell’uomo, sino alla morte, mentre una epidemia di colera colpisce inesorabile la città. Tra vita e arte, in un ambiente languido e decadente, è la prima a sopravvivere: l’arte si smarrisce di fronte alla concretezza della realtà. Impossibile cogliere la bellezza.

Guardarsi allo specchio e vedere un altro.
Abbandonare le certezze rassicuranti.
Esplorare strade fino a poco tempo prima impensabili.
E’ l’ultimo alito della vita, quello che cerca di respirare Gustav Von Aschenbach, in una Venezia malata e decadente.
E mentre la morte si fa più vicina, il suo corpo diventa l’involucro di un’anima che si risveglia. Un’anima che si è persa, pensano gli altri.
Il risveglio ha il volto di Tadzio, la bellezza greca, forse la disperata ricerca della giovinezza perduta. La bellezza come àncora di salvezza.
E’ malinconica e straziante la fine di Von Aschenbach, vestire abiti grotteschi, inadeguati, per cogliere anche solo lo sguardo del ragazzo.
La sensazione che ci lascia Thomas Mann è qualcosa di sconvolgente, assurdo, insensato.
Eppure sa di vita, vita vera, oltre ogni maschera.

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