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giovedì 21 luglio 2016

Un raggio, la luna nella notte

di Giovanna Vannini

Mi immersi nella follia. Solo lei, lei sola sapeva come fare per condurmi in quella perdizione. Non chiusi gli occhi, anzi li spalancai all’ignoto, fermo: nello sguardo, nel passo, nel corpo massiccio irrigidito, tutto concentrato in quella ricerca di follia. Follia d’amore. Cos’era se non follia d’amore? Potente, viscerale, straziante, un bruciare dentro, un fiammeggiare da ogni mia apertura.
Per lei, lei che mi tagliava i tendini, mi stirava i muscoli, mi scheggiava le ossa. Ma non potevo farne a meno per sentirmi vivo! E quando nei rari momenti di passaggio, un fiato di benessere mi alitava sulle spalle, soffrivo, per quella follia in assenza, per il non pensarla abbastanza, per la spiacevole sensazione di abbandono che il lasciare gli inferi mi infondeva. 
“T’amo d’odio”- le dissi, in quell’unico giorno in cui ne fui capace- Lei sprigionò odore di fiera in caccia, tacque. Gli occhi mi saltarono dalle orbite e un tremito da febbre gialla mi prese. Finché stramazzai al suolo, sudato, furioso, indifeso. Fu un raggio di luna ad aiutarli a ritrovarmi su una panchina a nord del parco, dove l’umidità della notte marca ogni stagione. Avevo gli occhi finalmente chiusi e le labbra disegnate in un sorriso. Le mani erano nere, brucianti, come due tizzoni ardenti. Non vollero spiegarsi mai cosa mi avvenne. Prima.

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