di Valeria Giovannini
Era notte fonda quando ci addentrammo nel bosco fitto che
portava alle rovine di un'antica chiesa del XII secolo. Le luci dei faretti
dalla fronte illuminavano il sentiero ricoperto di foglie croccanti.
Tutt'intorno il silenzio. Ogni tanto, il verso di qualche strana creatura
alata. Il percorso era molto scosceso. Nonostante i fari, talvolta inciampavo,
in pietre mimetizzate e nascoste tra piccoli arbusti e fogliame.
Improvvisamente, l'abbaiare di cani in lontananza. E poco alla volta, li
sentivamo sempre più vicini. Finché apparvero due fiammeggianti occhi rossi.
Per sdrammatizzare la tensione del momento, narrai alla persona che mi
accompagnava in quella selva oscura, di un paio di occhi di bragia.
Mio padre, infatti, raccontava sempre volentieri di uno
scherzo a un compagno di classe. Odioso, a cui volle dare una lezione. Il
professore interrogava su Dante, in particolare sul terzo canto dell'Inferno. "Allora,
Rossi, prosegua lei la terzina: Caron dimonio, con occhi..." Rossi
era esitante, non avendo studiato il canto assegnato. A mio padre sembrò
un'occasione troppo ghiotta per un tiro mancino, per cui gli suggerì:
"Blu". Il povero malcapitato ripeté: "Blu”.
A quel punto, al professore medesimo si levarono alte fiamme
nello sguardo. E urlò furiosamente per la rabbia. E quanto si divertiva mio
padre, ogni volta che raccontava questa storiella. Udendo le nostre risate, i cani del bosco si
allontanarono.
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