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mercoledì 29 marzo 2017

L’abitudine guarisce le ferite?

La modernità si accompagna anche al rischio di un viaggio senza meta

di Paolo Brondi

Il tempo, questo tempo che scorre portando con sé i mille e mille secondi del nostro vivere, è ciò che affascina e conquista, in un gioco quasi faustiano. Spinge alla ricerca di sensazioni, dialoghi, abbandoni in cui confondersi e trasformarsi fino all’intuizione di non avere più un’età ben definita e di entrare in simbiosi con ogni tempo, in una dispersione tragica e gioiosa insieme, perché incessantemente prodiga di offerte e negazioni e quindi invito a rinnovare la sete.
C’è chi, senza avvedersene, si getta in questa immedesimazione, le cui ragioni vanno cercate in un rivolgimento nel vivere che, ormai dimentico dei giorni radiosi, si risolve in un succedersi di ferite e di duri confronti, per i quali l’esistere si è reso fervidamente anelante.
Sono le ferite inferte da una modernità che ha elevato il tempo a viaggio senza meta ed ha steso sulle ore della quotidianità il velo spesso della chiacchera, della prosa licenziosa, dei pappagalleschi richiami, con la tragicità che le ferite son guarite dall’abitudine e tutti sono paghi di vivere così.

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