La
modernità si accompagna anche al rischio di un viaggio senza meta
di
Paolo Brondi
Il
tempo, questo tempo che scorre portando con sé i mille e mille secondi del
nostro vivere, è ciò che affascina e conquista, in un gioco quasi faustiano. Spinge
alla ricerca di sensazioni, dialoghi, abbandoni in cui confondersi e
trasformarsi fino all’intuizione di non avere più un’età ben definita e di
entrare in simbiosi con ogni tempo, in una dispersione tragica e gioiosa
insieme, perché incessantemente prodiga di offerte e negazioni e quindi invito
a rinnovare la sete.
C’è
chi, senza avvedersene, si getta in questa immedesimazione, le cui ragioni
vanno cercate in un rivolgimento nel vivere che, ormai dimentico dei giorni
radiosi, si risolve in un succedersi di ferite e di duri confronti, per i quali
l’esistere si è reso fervidamente anelante.
Sono
le ferite inferte da una modernità che ha elevato il tempo a viaggio senza meta
ed ha steso sulle ore della quotidianità il velo spesso della chiacchera, della
prosa licenziosa, dei pappagalleschi richiami, con la tragicità che le ferite
son guarite dall’abitudine e tutti sono paghi di vivere così.
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