Eternit ha la stessa
radice di Eternità, la storia senza fine delle morti per amianto
di Marina Zinzani
Ci
sono delle cose eterne. Ci sono degli amori, come quelli che iniziano sui
banchi di scuola, che fanno percorrere tutta la vita assieme: cinquant’anni, anche
di più.
C’è
l’eterno rincorrersi delle stagioni, appuntamenti con i colori della natura,
con i profumi, con le piogge, con la neve, con gli alberi in fiore della
primavera, con la brezza che sale dal mare in estate.
La
parola eternità suggerisce cose buone, suggerisce contorni delicati.
Chi
ha inventato la parola “Eternit” voleva suggerire qualcosa che non si
deteriora, che continua per sempre.
Continuano
le morti per amianto, e dietro le spalle ci sono cimiteri di operai, di mogli
di operai che lavavano le tute e che si sono ammalate, pure loro. Ci sono
bambini morti, che facevano il bagno in acque contaminate. Eternità: no, non
suggerisce solo cose buone, questa parola. Anche nei cimiteri si riposa per
l’eternità.
Il
ritardo di leggi, il volere ignorare la pericolosità estrema dell’amianto da
parte di chi doveva controllare e proteggere, la logica del profitto senza
scrupoli, l’inconcludenza di processi, reati prescritti, nessuno paga: resta
dentro una sensazione di sgomento. E di sfiducia, perché al di là dei cavilli,
del tempo passato che facilita l’impunibilità, rimangono i volti: di chi si è
ammalato di mesotelioma pleurico o di altre malattie legate all’amianto, i
volti di uomini che andavano in fabbrica e non sapevano di essere solo dei
numeri. A nessuno importava della loro salute, dei bambini che li avrebbero abbracciati
a casa, toccando le loro tute.
Eterno
è il dolore per tante persone, quel posto a tavola, quel letto vuoto, quei
ricordi sacri e struggenti.
Lo sguardo verso l’eterno, che tutto ridimensiona, nella visione delle cose, nella fugacità dell’esistenza, dovrebbe confinare con la pietà e con il coraggio, quel coraggio che serve per punire, portare avanti qualsiasi cosa, affinché una parola dolce non si trasformi in un sottile veleno, che sembra durare decenni e decenni, un’eternità.
Lo sguardo verso l’eterno, che tutto ridimensiona, nella visione delle cose, nella fugacità dell’esistenza, dovrebbe confinare con la pietà e con il coraggio, quel coraggio che serve per punire, portare avanti qualsiasi cosa, affinché una parola dolce non si trasformi in un sottile veleno, che sembra durare decenni e decenni, un’eternità.
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