Un
incontro fugace, la percezione di una somiglianza, la dolcezza di uno sguardo
di
Paolo Brondi
In
occasione di un convegno di criminologia forense a Milano, presi la metropolitana per recarmi
in piazza Duomo. Nella metro assai affollata, davanti a me vidi una giovane
donna: capelli biondi e fluenti, occhi verdi con pagliuzze dorate. La guardai e
all’istante si creò un simpatico gioco di sguardi, ora sfuggenti, ora fissi e
continui. Mi sorpresi a sorridere lievemente e lei, ancora più sorpresa, ma con
una punta di malizia che le illuminava il viso, rispose al sorriso.
Non poteva sapere che
era altro da lei quello che il mio sguardo, il mio sfumato sorriso, andava
cercando. Non poteva sapere che lei, per me, era un semplice segno, o un sogno
a occhi aperti che rimandava a un’altra donna, forse la Anna di prima. La metro si fermò. Aveva raggiunto il Duomo. Uscì una
marea di persone ed io non seppi come, mi trovai accanto lei, la stessa donna. Mi guardò con occhi birichini e mi
chiese: "Mi offre un caffè?".
Andammo al
Biffi. Ci sedemmo fuori, un poco in disparte e ordinai due caffè con
pasticcini. La osservai meglio, fuori dal sogno, e mi dissi: “E' proprio bella!
Giovane, avrà meno di trenta anni. Io ne ho quasi dieci di più”.
Guardandolo
fisso, fu lei per prima a prendere la parola:
"Io
amo la montagna, quando è fasciata al mattino dalla nebbiolina. Ecco, il suo
sguardo, il colore dei suoi occhi mi ricorda quei colori".
L’ascoltò
sorpreso e suggerì: “Sì, il colore di una montagna, delle tempeste, delle notti
nevose, del buio. Cambiano spesso colore i miei occhi”.
“Lo vedo -disse lei - ora mi sembrano
illuminati e intensi”.
Si
presentarono. Lei si chiamava Gretel. Era una pianista e teneva concerti in varie
città d’Italia e all’estero. Era cittadina svizzera e abitava a Ginevra. Gli
propose di andare a trovarla, porgendogli il biglietto con tutti gli indirizzi,
l’avrebbe ospitato nella sua casa su quel bellissimo lago.
La
ringraziai, le consegnai, sfiorandole la mano, il mio biglietto da visita e le
promisi che, forse sì, un giorno, lo avrei fatto. Uscimmo, andando verso la
libreria Rizzoli. La galleria brulicava di gente che sembrava festante, forse
per l’aria novembrina che apre i pori e stuzzica mente e desideri.
Ci sedemmo
su una panchina di pietra non lontano dall’ingresso della scala. Eravamo molto
vicini e gli occhi di lei frugavano in quelli miei. Non glielo lasciai fare per
molto. La baciai e il bacio si fece più intenso e caldo.
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