La legge e la coscienza, l’angusto spazio dell’umanità
di
Marina Zinzani
(Commento di Angelo Perrone)
Ci
sono tante cose che si sono scritte, riguardo al piccolo Charlie Gard. Ci sono
anche cose che non si leggono in modo chiaro sulle prime pagine: il fatto che
il bimbo ha subito un danno cerebrale grave e irreversibile; il fatto che i medici,
chiedendo di sospendere la respirazione artificiale, ritenevano di agire
nell’interesse del bambino, che va incontro a intense e a insopportabili
sofferenze; il fatto che i giudici hanno dato ragione ai medici inglesi, ma
anche dopo aver interpellato medici statunitensi, i quali hanno ribadito che la
terapia sperimentale non può curare il danno cerebrale del bambino.
Il
caso del bambino di Baltimora, a cui si guarda per ridare speranza a Charlie,
parla di una forma meno grave della malattia. Il bambino ora ha 6 anni, respira
con un ventilatore, è nutrito artificialmente, muove solo mani e piedi ed è
assistito 24 ore su 24.
L’idea
è che il caso mediatico viaggi su un binario, mentre le notizie riguardanti i
medici inglesi e i giudici viaggino su un altro binario. E’ una gara di
solidarietà, per tenere in vita questo bambino.
Difficile
dare giudizi. Bisognerebbe interrogarsi fino a quando è lecito tenere in vita
un essere umano destinato ad atroci sofferenze. Le proprie opinioni diventano
slogan, spesso senza sapere i particolari della storia: chi crede nella vita da
preservare a tutti i costi, in qualunque situazione, anche nella sofferenza
insopportabile di un bambino, chi si attacca a qualsiasi speranza, anche a cure
mai testate, per risparmiare la vita del piccolo, che al massimo,
probabilmente, potrà avere una vita simile al bambino di Baltimora.
Quando
si guarda un caro che soffre, in situazioni senza speranza, si pensa che
l’importante è che non soffra più. Poi sarà volato via, da qualche parte.
Secondo leggi divine che troviamo molto spesso assurde.
(ap) Sembra che tutto si restringa
ad un contrasto impari e persino irragionevole: tra il disperato tentativo dei
genitori di Charlie di continuare a stare con il loro piccolo e di tentare
l’impossibile per contrastare la malattia terribile che lo ha colpito e la
struttura dell’ospedale londinese dove è ricoverato senza speranze scientifiche
di cure idonee o di semplice sopravvivenza nemmeno a breve termine.
Una opposizione che, sul piano
legale, ha già registrato la debordante vittoria dell’ospedale inglese,
intenzionato a interrompere l’assistenza in atto per la sua inutilità
scientifica e addirittura per il probabile stato di sofferenza del bimbo in
queste condizioni. Tutti i giudici aditi gli hanno dato ragione e persino la
Corte di Giustizia europea (quando serve, la Brexit non vale) ha confermato il
verdetto: i medici possono staccare la spina.
Nonostante l’ospedale abbia avuto
“ragione” (forse, si dice, c’erano anche ragioni di risparmio sui costi di un
trattamento inutile, insomma opportunismo), davvero qui ha trovato affermazione
la legge? E nel caso i medici avessero tecnicamente ragione, era sufficiente
questo per decidere in quel senso?
Forse sul piano scientifico non c’era e non
c’è partita: tutto fa ritenere che nel piccolo ci siano stati danni cerebrali
gravissimi e irreversibili; ed è impossibile contrastare l’osservazione per cui
non esistono, allo stato, terapie e cure idonee.
Eppure, a prescindere da radicalismi
ideologici, è palese la percezione che qualcosa sia sfuggito in questo
contrasto. Non si tratta tanto di voler tentare l’impossibile, di sperare contro
ogni speranza, che pure possono essere plausibili (è la linea proposta
dall’ospedale romano del Bambino Gesù e dallo stesso Vaticano).
C’è dell’altro nel mistero della
vita, racchiuso nel piccolo corpicino sofferente, che forse è stato
trascurato nelle decisioni dei giudici. Avevano il più gravoso dei compiti, pronunciare – in nome della società tutta – un verdetto sulla stessa sopravvivenza
di un essere umano, pur in condizioni molto critiche.
Una decisione sostitutiva
non solo di quella del diretto interessato (il piccolo Charlie, impossibilitato
ad esprimere alcunchè) ma di chiunque altro (qui, i genitori) avesse “motivo”
di esprimersi e di dire la propria. Per avergli dato la vita, per il fatto di
amarlo sopra ogni altra cosa, per essergli stato accanto sempre, interrogandosi
sulla sua esistenza e sul suo bene.
Chi può decidere per l’altro? Chi può disconoscere il valore dell’amore verso il piccolo Charlie? Alla fine, c’è un tempo prezioso e ineliminabile, brevissimo e nello stesso tempo infinito. Composto da attimi, esili e profondi, per tenere stretta la manina del piccolo Charlie, sentire l’odore del suo corpicino, sussurrargli le parole che non potrà mai ascoltare e capire.
Chi può decidere per l’altro? Chi può disconoscere il valore dell’amore verso il piccolo Charlie? Alla fine, c’è un tempo prezioso e ineliminabile, brevissimo e nello stesso tempo infinito. Composto da attimi, esili e profondi, per tenere stretta la manina del piccolo Charlie, sentire l’odore del suo corpicino, sussurrargli le parole che non potrà mai ascoltare e capire.
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