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venerdì 8 settembre 2017

George, e gli altri

Primo giorno di scuola. Quanto cambia nella vita degli scolari, e in quella di tutti noi

di Marina Zinzani
(Commento di Angelo Perrone)

(ap) Il piccolo George. Al suo arrivo il primo giorno di scuola, accompagnato solo dal padre William perché la madre Kate aveva la nausea per la nuova gravidanza annunciata, la preside è uscita dall’edificio ad accoglierlo.
Nulla di strano, certo, era persino prevedibile e inevitabile. Un gesto di gentilezza e sensibilità, di garbata accoglienza per un bimbo di 4 anni che si ritrova in un mondo sconosciuto e dovrà affrontare molte prove.
Ma al netto del rango del piccolo rampollo, come sarebbe bello che quel gesto fosse rivolto a tutti i nuovi scolari e a ciascun bambino che inizia il suo percorso scolastico. Quale che ne sia la condizione sociale. Certo, ce lo ricorderemmo per tutta la vita. Lo porteremmo dentro la mente come cosa preziosa. E come un buon segnale sull’attenzione della società verso i suoi cittadini.

Perplessa, forse un po’ triste è l’espressione del piccolo George al primo giorno di scuola. Sembra un’immagine simbolica: inizia una nuova vita, e il tempo della libertà del bambino, senza impegni, senza doveri, sembra lasciato alle spalle. Avverte tutto questo George, nella sua fronte corrugata?
Il tempo dell’ozio, e l’inserimento in un quadro sociale necessario e doveroso, appaiono in una sfumata contraddizione. La scuola sembra un po’ l’entrata nella società.
La sua è una situazione di privilegio, pur con i limiti che non ne fanno un bambino come tutti gli altri.
Il pensiero va alle madri, e anche ai padri, che ogni giorno corrono per portare i figli a scuola, incastri di orari, organizzazioni familiari e aiuti, la stanchezza di sera e il doverli aiutare nei compiti, le molte ore che ormai richiede la scuola ai bambini. Poi ci sono i corsi di nuoto, di ginnastica, e anche lì orari da incastrare.
Chissà se in questa corsa continua, di impegni, c’è il tempo per guardarsi negli occhi, sorseggiando una tazza di tè, o mangiando una fetta di torta, senza dovere dire: “Adesso devo scappare”.

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