Fotografa, amava definirsi. Ma fu attivista politica,
attrice, una viaggiatrice instancabile ai primi del ‘900. Un personaggio
inquieto, controverso, appassionato della vita
di Maria Grazia Passamano *
L’amore per il Messico, la Russia e la Spagna, tre
Stati vissuti intensamente. E poi l’amore per la fotografia che diventa
espressione onirica di una speranza, testimonianza di una realtà che si
desidera intrappolare ed afferrare per personalizzarla, per stigmatizzarla; una
forma di cannibalismo artistico, l’ossessione per la fotografia, che spinge
l’osservatore a voler possedere ciò che il suo sguardo penetra e ad ingurgitare
quel flusso vitale che non si può arrestare, che non si può placare.
La fotografia però non fu mai vissuta dalla Modotti
come una forma d’arte, infatti non era d’accordo quando le parole arte e
artistico venivano usate in riferimento al suo lavoro, sosteneva: ”mi considero
una fotografa e niente di più”.
Una donna rivoluzionaria, bellissima, scomoda, una
donna a cui l’Italia, ancora oggi, non accenna ad abituarsi. L’Italia delle ombrelline,
delle veline, delle letterine, non può essere in grado di buttar
giù una donna che non accetta di essere oggetto, mero feticcio, scarto. Non può
accettare il nudo di una donna libera, ma ipocritamente, è capace di
idolatrare la nudità finalizzata e strumentalizzata.
Tina Modotti nasce a Udine il 17 agosto 1896 da
famiglia operaia aderente al socialismo di fine Ottocento. Il padre decide di
partire per gli Stati Uniti, presto raggiunto da quasi tutta la famiglia. Tina
frequenta le mostre, segue le manifestazioni teatrali e recita nelle
filodrammatiche della Little Italy. Conosce il poeta e pittore Roubaix
del’Abrie Richey, dagli amici chiamato Robo, con cui si sposa nel 1917 e si
trasferisce a Los Angeles. Tina nel 1920 incontra Edward Weston, sarà lui a
cambiarle per sempre la vita. Tina si appassiona alla tecnica fotografica, posa
per l’artista, e intanto osserva, studia e fa suoi gli insegnamenti di Weston.
Il 9 febbraio 1922 Robo muore durante un viaggio in
Messico. Tina scopre, in questa triste occasione, un paese che a lungo la
affascinerà. A fine luglio 1923 Tina Modotti e Edward Weston decidono di vivere
liberamente la loro storia. La Modotti ebbe modo, in questo periodo, di
conoscere diversi esponenti dell’ala radicale del comunismo, e la pittrice
Frida Kahlo. All’incirca un anno dopo, fu costretta a lasciare la macchina
fotografica dopo l’espulsione dal Messico.
Viaggiò in giro per l’Europa per poi stabilirsi a
Mosca, in Russia, dove si unì alla polizia segreta sovietica, che la utilizzò
per varie missioni in Francia ed Europa orientale e successivamente si trasferì
in Spagna nel periodo della guerra civile del 1936. In seguito tornò in Messico
sotto falso nome, dove morì nel 1942.
Una donna che ha amato Mosca, la Spagna ma soprattutto
Frida Kahlo e il Messico nascosto e oscuro degli indigeni; il Messico che come
le sirene di Ulisse, non concede più pace ai suoi naviganti, ai suoi tanti
amanti e ancor meno ai suoi esiliati. Immagino le due donne camminare lente tra
la polvere delle strade di Coyoacan, sento il suono delle loro risate, il peso
dei loro pensieri. Donne sventurate ed immortali, coraggiose, anticonvenzionali
nonostante il loro profondo legame con le tradizioni dei popoli. Pittrice una e
fotografa l’altra, forse amanti, forse no, sicuramente però creature complici e
rivoluzionarie.
Rimane la loro energia di donne in rivolta, ma forse
più di tutto la loro esistenza mai sprecata, folle di donne libere ed indomite,
fin troppo moderne anche per i nostri tempi, caratterizzati ancora da un logica
arrugginita di femminismo malato e di maschilismo pervasivo.
Rimane il ricordo di questa donna eccezionale, e della
sua esistenza vissuta “con troppa arte”, ma, contrariamente a quanto da
Lei sostenuto, rimane anche la sua arte; rimane il suo nome, con il quale
“altri nomi tacciamo e diciamo perché non muore il fuoco”.
* Scrive sul blog Invent(r)arsi:
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