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lunedì 22 gennaio 2018

Le macchine non distinguono il dolore di una madre

Scrivere sul web? Non conta solo la concisione. Dovremmo coltivare una forma diversa di “brevità” che regali densità di parole, e essenzialità di concetti 

di Angelo Perrone *

Non più di 2000-3000 caratteri (spazi inclusi), raccomandano gli esperti del digitale, i maestri della web usability come Jakob Nielsen. Questa, la misura ottimale dei testi da pubblicare on line: brevi, concisi, essenziali. E poi da scrivere secondo regole precise: costruzione a “piramide rovesciata” (prima le conclusioni, poi lo sviluppo del tema, sempre in modo asciutto, si intende) e osservanza di molti accorgimenti.
Dal titolo “ambasciatore”, che colpisca l’immaginazione del lettore e risulti curioso e memorabile, alla sapiente distribuzione nel testo di parole “chiave”, magari evidenziate in neretto, che ripetano i passaggi cruciali del discorso e mantengano viva l’attenzione, all’inserimento ben studiato di immagini o video, per sottolineare i punti essenziali.
Un ritmo di parole coinvolgente che attiri il lettore frettoloso, catturi almeno per un attimo la sua attenzione e gli impedisca di distrarsi. Guai se salta da un link ad un altro o se abbandona il sito. Le prescrizioni non sono soltanto una sequenza di utili istruzioni, ma un ammonimento ossessivo per chi voglia cimentarsi, per diletto o per professione, in questo esercizio.
Il mito della brevità, della concisione, deve scandire necessariamente la pagina web, il lettore non ha tempo e voglia di soffermarsi troppo sulle parole, preferisce scansionare superficialmente il testo, è persino poco propenso a scorrere la pagina per arrivare alla fine. Solo se trova un appiglio, è indotto a prendere fiato; dunque inutile dilungarsi, creare testi prolissi, soffermarsi sui concetti, e argomentare con inopportune digressioni, che fanno perdere il filo e scoraggiano il lettore. Portarlo per mano, quel lettore, per frasi troppo lunghe e sino alla fine di un pezzo, è un’impresa titanica, meglio non affrontarla.
Torre Campatelli, San Gimignano (foto ap)
La frammentazione delle informazioni sembra una caratteristica propria del testi digitali. I contenuti brevi o brevissimi sono connaturati agli sms, alla messaggistica whatsapp, alle mail, ai tweet. Addirittura questi ultimi, i “cinguettii”, hanno un limite tecnico, i mitici 140 caratteri (ora raddoppiati a 280), che ne costituiscono una barriera invalicabile. Ma anche sui blog, sui siti di informazione, che potrebbero essere svincolati da questa regola, la raccomandazione è la medesima e raramente i testi superano la soglia consigliata.
Difficile dire se la brevità sia una caratteristica intrinseca del digitale, connaturata (ma perché?) alla sua struttura tecnica, oppure soltanto contingente, legata magari ai problemi di crescita di un settore ancora relativamente giovane. Magari la costruzione di smartphone con schermi sempre più grandi e una migliore risoluzione grafica possono facilitare la lettura sul video favorendo quindi la pubblicazione di testi più lunghi (ma anche qui: perché l’occhio umano dovrebbe stancarsi a guardare i caratteri sullo schermo più di quanto non accada sulla carta stampata?). La lettura sul video, con i miglioramenti tecnici, potrebbe farsi più piacevole e facile.
Eppure già oggi l’ipotesi di pubblicare testi lunghi, che possono offrire maggiori informazioni ed essere meglio argomentati, non sembra affatto scoraggiata dai network più importanti: Google premia nelle sue ricerche i testi oltre almeno i 300 caratteri, se ben costruiti, evidenziandoli a preferenza di altri, e rendendo possibile così un maggior numero di condivisioni e dunque di diffusione. Anche il web design si sta dedicando maggiormente a testi più lunghi e scrollabili invece di quelli frammentati e lapidari. Aprendo dunque le porte ai longform, gli articoli lunghi, diffusi sui magazine cartacei e molto apprezzati negli Stati Uniti. Il sito dell’inglese The Guardian dedica sezioni intere alle “letture lunghe”.
Torre Campatelli, San Gimignano (foto ap)
Una inversione di tendenza rispetto all’epoca della sintesi, della stringatezza, della sommarietà nell’esposizione di un pensiero? Non va trascurato il successo, nella narrativa, degli ebook. Certo un mercato ancora molto ristretto (in America è fermo da due-tre anni, ma è ad una quota del 25% sul totale dell’editoria, rispetto al 10% dell’Italia). Tuttavia fa notizia che, sul digitale, siano diventati bestseller romanzi come il thriller, ambientato nell’odierna Londra, La donna di ghiaccio dell’inglese Robert Bryndza, o Matrimonio di convenienza di Felicia Kingsley, pseudonimo di una giovane e sconosciuta scrittrice italiana.
Testi con una scelta oculata e azzeccata dei temi trattati (nel primo caso, identità di genere, migrazioni, invadenza dei social; nel secondo, scalata sociale ed economica da parte di una giovane truccatrice costretta a sposare un nobile per mettere le mani su una ricca eredità). Romanzi capaci di sfondare nelle vendite sul digitale, trascinando il cartaceo, all’incredibile prezzo di 99 centesimi. Un intreccio di motivi, in quel successo, che mette insieme costo molto basso, iniziativa editoriale, marketing, rispetto ai quali comunque l’asserita avversione del web rispetto alla lunghezza delle pubblicazioni sembra contraddetta clamorosamente.
Torre Campatelli, San Gimignano (foto ap)
Questione di forma, la dimensione dei testi, o di contenuti? Un po’ di chiarezza forse comincia ad esserci: Facebook per rimanere all’attualità annuncia che privilegerà i post scambiati tra gli “amici” rispetto a tutti gli altri testi pubblicabili sul sito, come notizie, informazioni, pubblicità. Una scelta che oltre l’apparenza denuncia l’impossibilità tecnica, attraverso un semplice algoritmo, di filtrare e bloccare le fake news, e che offre un’indicazione su un’esigenza precisa: il tema della qualità, non della quantità, di ciò che si pubblica.
Brevità e lunghezza sono temi più complessi di quanto non emerga dalle discussioni sulla forma esteriore della scrittura, e sui mezzi (il digitale o la carta) usati per realizzarla. Un tema che attraversa nel profondo per esempio il rapporto tra prosa e poesia, oppure tra racconto e romanzo, tra piccola storia, apologo, breve corsivo e altro genere letterario come il poema, storico o narrativo che sia. Contesti diversi certamente, con una specificità di tecniche e elaborazioni. Ma nei quali la riflessione sulla forma si distingue da quella sulla sostanza dello scritto.
Scrivere è una sfida continua nella ricerca della necessaria tensione della mente che guida la scelta delle parole, l’elaborazione di una trama, l’esposizione di concetti. Da cogliere ed esprimere, sia in un testo di lungo respiro, che nella brevità di frasi molto stringate. Trovare la misura di quella tensione, darle voce e corpo, è cosa che prescinde dal numero delle pagine usate e dalle geometrie degli schemi prescelti.
Torre Campatelli, San Gimignano (foto ap)
Non bastano le regole più acute per dare concretezza al bisogno di espressività e per raccontare, della vita interiore, la densità ed essenzialità. Asciuttezza e periodare lungo si confrontano comunque con l’intensità della scrittura, con lo sforzo di raccordare idee simultanee, emozioni divergenti, pensieri oscillanti, uscendo dal vortice della confusione e del disorientamento.
Un tragitto che è umano prima che letterario. Può essere, come il testo, breve o lungo, ma è sempre la sostanza del frammento che, nella sua asciuttezza, dà luce e risalto alla pagina e alla storia che si racconta. E’ quella pietruzza lungamente cercata e poi all’improvviso raccolta, che brilla di propria energia nel buio e nella nebbia. Così luccicante anche a distanza. Pure, così sfuggente durante il cammino, perché sembra essere in attesa proprio di te, però a volte ti ignora e ti respinge, prima di lasciarti senza parole quando ti avvicini e l’ammiri. La brevità può essere tutto questo e altro, persino una sorta di categoria dello spirito.
Questione di spessore della scrittura. E di temperamento dello scrittore e del suo lettore. Perché attitudini, preferenze, orizzonti mentali sono diversi per ciascuno. L’alchimia comunque è reciproca. Il lavoro dell’autore è quello di cogliere nella concisione, comunque articolata, quel particolare che esprime ciò che, per densità specifica, è così essenziale e pregno di significato nella propria visione delle cose, mentre l’aspettativa del lettore, o la sua attesa mentre scorre la pagina, è quella di lasciarsi sorprendere dagli stessi piccoli frammenti disseminati nel cammino che sta compiendo. Qualche volta rimanendo incantato. 

* Leggi anche:
Il web? Non è solo fake news, ma rovesciamo la “piramide rovesciata”! di Angelo Perrone,
La Voce di New York:

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