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venerdì 3 maggio 2019

Il tempo se ne va

Una lettera struggente di un vecchio amante: la seduzione segnata dal tempo trascorso

di Paolo Brondi

A Giorgia stava accadendo più volte, nelle ultime ore, di non sapere dove mettere la testa, perché persa nel dilemma che le era riapparso, attraverso la lettera appena recapitata e che stava rileggendo di continuo. Alessandro, l’amore di un tempo, scriveva: "Il tempo se ne va e l'immagine tua è sempre qui, nel mio segreto mondo e nel pensiero di dove sei, di cosa stai facendo, pensando, amando.
Il tempo se ne va e consuma le cose più belle: le nostre cose, la nostra giovinezza e un amore apparentemente assurdo, che non mi travaglia, ma mi addolcisce e si fonde con quel nuovo sentire che ha in te un nostalgico orizzonte, e ispira le mie scelte di ogni giorno. Sentimenti, non contrastanti, ma complementari, orientano il mio pensiero.
Malinconia per verità nascoste e drammaticamente ricorrenti, per quel rivolgimento che il nostro amore ha portato nella mia vita, insieme ad un succedersi di sofferenze e di duri confronti: il distacco, la lontananza dalla famiglia, l'assenza di ogni tua notizia. Un sentire che un poco si attenua, nella mia quotidianità, quando trovo occasioni di rinverdire il ricordo di te attraverso un tempo che non corre innanzi, ma quasi si ferma. Mi è accaduto anche ieri, quando ho ritrovato il tuo indirizzo ed ho preso a scriverti, sentendomi dentro la memoria di te, di me, uniti in questo profumo di selva e di sabbia. Struggente è il ricordo dei nostri baci e baci e baci, quanti baci e carezze, ricordi? Ti prego, non dare ascolto a voci diverse da queste mie. Ho seminato gelosie, specie fra i colleghi, ma non ho le colpe di cui mi è giunta notizia. Tornerò presto e avrò bisogno del tuo aiuto.”
Giorgia leggeva e rileggeva, sentendo crescere in sé l’ambiguità fra il piacere della lettura e la vigile riflessione sull’insperata sorpresa di un contatto che ora le appariva troppo poetico, quasi esaltato. “Sì, va bene -commentava- situazioni uniche e coincidenze pazzesche, emozioni da film, questo è vero, ma le circostanze, i significati e i contesti di allora, mi appaiono ora artefatti, lontani, quasi manipolati. E poi che crede? Che tipo di aiuto richiede ed io come potrei aiutarlo? Gli è giunta notizia delle dicerie su di lui e perché non ha cercato di comunicarmi sue notizie, di spiegarmi tutto il suo silenzio? Pensare al passato genera in me disagio, una sensazione di imbarazzo, di malessere, di qualcosa che fatico a cogliere, oggi che mi sento diversa e non sento più la paura di ricadere un’altra volta nel desiderio irrefrenabile di lui”.
Quel suo messaggio le sembrava un nuovo gioco seduttivo che s’insinuava nella quiete del suo vivere, creando una complicazione esistenziale ove il puro possibile annaspava nel conquistare la propria certezza. Al di là delle sue fascinose interrelazioni e di quel gioco epistolare con cui lui, evidentemente, cercava di sciogliere malinconia e nostalgie, Giorgia ora tornava a desiderare una verità non immaginifica, ma utile a maturare la capacità di affrancarsi dalla seriosità della propria esistenza, magari imboccando altre vie, o le solite vie familiari, ove quei nodi a poco a poco si snodano e diventano linea dell’esistenza redenta.
Lui apparteneva a una traccia con contenuti rimossi, svaniti, assenti, e quindi ormai del tutto impraticabile. In quelle continue introspezioni le venne in ricordo un proverbio cinese che dice: “se ai piedi del faro non c’è luce, se cioè la coscienza non è in grado di illuminare l’oscurità, questo non significa che non ci sia luce affatto: si tratta invece di capire come e dove si proietta quella luce e in questo la speranza può fornire una forza conoscitiva supplementare”.

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