Una
lettera struggente di un vecchio amante: la seduzione segnata dal tempo trascorso
di
Paolo Brondi
A
Giorgia stava accadendo più volte, nelle ultime ore, di non sapere dove mettere
la testa, perché persa nel dilemma che le era riapparso, attraverso la lettera
appena recapitata e che stava rileggendo di continuo. Alessandro, l’amore di un
tempo, scriveva: "Il tempo se ne va e l'immagine tua è
sempre qui, nel mio segreto mondo e nel pensiero di dove sei, di cosa stai
facendo, pensando, amando.
Il tempo se ne va e consuma le cose più belle: le nostre cose, la nostra giovinezza e un amore apparentemente assurdo, che non mi travaglia, ma mi addolcisce e si fonde con quel nuovo sentire che ha in te un nostalgico orizzonte, e ispira le mie scelte di ogni giorno. Sentimenti, non contrastanti, ma complementari, orientano il mio pensiero.
Il tempo se ne va e consuma le cose più belle: le nostre cose, la nostra giovinezza e un amore apparentemente assurdo, che non mi travaglia, ma mi addolcisce e si fonde con quel nuovo sentire che ha in te un nostalgico orizzonte, e ispira le mie scelte di ogni giorno. Sentimenti, non contrastanti, ma complementari, orientano il mio pensiero.
Malinconia per verità
nascoste e drammaticamente ricorrenti, per quel rivolgimento che il nostro
amore ha portato nella mia vita, insieme ad un succedersi di sofferenze e di
duri confronti: il distacco, la lontananza dalla famiglia, l'assenza di ogni
tua notizia. Un sentire che un poco si attenua, nella mia quotidianità, quando
trovo occasioni di rinverdire il ricordo di te attraverso un tempo che non corre
innanzi, ma quasi si ferma. Mi è accaduto anche ieri, quando ho ritrovato il
tuo indirizzo ed ho preso a scriverti, sentendomi dentro la memoria di te, di
me, uniti in questo profumo di selva e di sabbia. Struggente è il ricordo dei
nostri baci e baci e baci, quanti baci e carezze, ricordi? Ti prego, non dare
ascolto a voci diverse da queste mie. Ho seminato gelosie, specie fra i
colleghi, ma non ho le colpe di cui mi è giunta notizia. Tornerò presto e avrò
bisogno del tuo aiuto.”
Giorgia leggeva e rileggeva,
sentendo crescere in sé l’ambiguità fra il piacere della lettura e la vigile
riflessione sull’insperata sorpresa di un contatto che ora le appariva troppo
poetico, quasi esaltato. “Sì, va bene -commentava- situazioni
uniche e coincidenze pazzesche, emozioni da film, questo è vero, ma le
circostanze, i significati e i contesti di allora, mi appaiono ora artefatti,
lontani, quasi manipolati. E poi che crede? Che tipo di aiuto richiede
ed io come potrei aiutarlo? Gli è giunta notizia delle dicerie su di lui e
perché non ha cercato di comunicarmi sue notizie, di spiegarmi tutto il suo
silenzio? Pensare al passato genera in me disagio,
una sensazione di imbarazzo, di malessere, di qualcosa che fatico a cogliere,
oggi che mi sento diversa e non sento più la paura di ricadere un’altra volta
nel desiderio irrefrenabile di lui”.
Quel suo
messaggio le sembrava
un nuovo gioco seduttivo che s’insinuava nella quiete del suo vivere, creando
una complicazione esistenziale ove il puro possibile annaspava nel conquistare
la propria certezza. Al di là delle sue fascinose interrelazioni e di quel
gioco epistolare con cui lui, evidentemente, cercava di sciogliere malinconia e
nostalgie, Giorgia ora tornava a desiderare una verità non immaginifica, ma
utile a maturare la capacità di affrancarsi dalla
seriosità della propria esistenza, magari imboccando altre vie, o le solite vie
familiari, ove quei nodi a poco a poco si snodano e diventano linea
dell’esistenza redenta.
Lui apparteneva a una traccia con contenuti rimossi, svaniti, assenti, e quindi ormai del tutto impraticabile. In quelle continue introspezioni le venne in ricordo un proverbio cinese che dice: “se ai piedi del faro non c’è luce, se cioè la coscienza non è in grado di illuminare l’oscurità, questo non significa che non ci sia luce affatto: si tratta invece di capire come e dove si proietta quella luce e in questo la speranza può fornire una forza conoscitiva supplementare”.
Lui apparteneva a una traccia con contenuti rimossi, svaniti, assenti, e quindi ormai del tutto impraticabile. In quelle continue introspezioni le venne in ricordo un proverbio cinese che dice: “se ai piedi del faro non c’è luce, se cioè la coscienza non è in grado di illuminare l’oscurità, questo non significa che non ci sia luce affatto: si tratta invece di capire come e dove si proietta quella luce e in questo la speranza può fornire una forza conoscitiva supplementare”.
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