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lunedì 25 novembre 2019

L'eroe e il silenzio

Il caso Dreyfus, la giustizia e la verità: uomini alle prese con la loro coscienza

di Marina Zinzani
(Commento al film L’ufficiale e la spia di Roman Polanski)

La ricostruzione dell’affare Dreyfus, nel film “L’ufficiale e la spia” di Roman Polanski, porta lo spettatore in una sorta di macchina del tempo. Sembra di essere in quegli anni, che partono dal 1894, in un ideale immaginario più gentile di oggi, suggerito così tante volte dalla pittura impressionista.
L’atmosfera è quasi da thriller, il racconto diviene svelamento del potere e degli intrighi del potere, disposto a sacrificare un innocente, il capitano Alfred Dreyfus, per un nascondere un errore giudiziario. Dreyfus è condannato per avere passato informazioni ai nemici tedeschi. Il fatto che sia anche ebreo rende il pregiudizio più che suggerito.
La figura dell’ufficiale francese Georges Picquart ha qualcosa di epico: è l’eroe, ma non quello che agisce di petto, sicuro nelle sue certezze, che non teme nulla. E’ un uomo prima di tutto, con un problema di coscienza. Sa, ne è quasi certo, che Dreyfus è stato condannato ingiustamente e che l’informatore è un altro. La strada che percorre sarà una lenta ricerca di ciò in cui crede: la giustizia, l’etica, la verità. Strada disseminata di pericoli e di intralci, che provengono da chi quei principi dovrebbe tutelarli, avendo alte cariche.
E’ un eroe umano Picquart, che si riempie di disincanto: vede cadere ciò in cui crede ma non può sacrificare la vita di un innocente, in nome di perversi meccanismi del potere.
Picquart è l’eroe e lo è anche Emile Zola, che nel suo articolo accuserà gli artefici di questa vicenda, facendo ogni nome. Pagherà anche lui, come Picquart, con la prigione.
La cultura che si erge a paladina della giustizia, che diventa voce di denuncia contro il potere, contro la sopraffazione: ricorda Emile Zola la figura di tanti giornalisti che hanno pagato a caro prezzo la loro ricerca di verità, le loro inchieste scottanti. Ricorda anche la forza e il coraggio di quegli intellettuali che hanno fatto tanto con le parole, dimostrando che queste possono risvegliare le coscienze, i popoli. Più semplicemente, le parole possono denunciare.
Quando la vicenda si è conclusa, quando Dreyfus verrà liberato, seppur con la grazia, e Picquart verrà premiato per il suo coraggio con un’alta carica, accade qualcosa di imprevisto: Dreyfus va a trovare Picquart e reclama il suo grado, non ottenuto a causa dell’ingiusta prigionia. Cosa non possibile, gli fa presente Picquart, forse con rammarico. Dreyfus esce dalla stanza e non si rivedranno mai più.
Non un grazie da parte di Dreyfus verso l’uomo che gli ha salvato la vita, finendo anche in prigione, pur di liberarlo.
Ecco, uno degli aspetti attuali del film è questo: il gettarsi in un contesto, un progetto, una missione, in nome di un principio. Probabilmente elevato. Quello della giustizia, in questo caso, altre volte quello della solidarietà, dell’aiuto.
Turba l’ultima scena, perché il silenzio di Dreyfus, quel grazie mancato, quella riconoscenza che lui non avrà mai verso Picquart fa parte della storia degli uomini. Chi ha dato e non ha ricevuto riconoscenza. E’ un silenzio che fa male, perché la bilancia è squilibrata, e si avverte una nota amara.
L’eroe umano rimane racchiuso nel suo mondo, e le cose in cui crede, nobili, si velano improvvisamente di malinconia.

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