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venerdì 27 marzo 2020

Oltre l'economia

Il corona virus? Il presidente americano Trump zittisce tutti: la colpa è dei cinesi

di Sonia Scarpante

Il virus è cinese, osserva seccamente Donald Trump. La nostra storia mondiale non può alimentare l’odio. Ci sentiamo così  onnipotenti? Esiste una sensibilità nelle persone che fa la differenza. Vi sono stati  uomini che hanno costruito il bene a e loro va sempre il nostro ringraziamento perché hanno saputo mettersi anche dalla  parte di chi fa più fatica, di chi soffre, di chi arranca nella fatica. Ci sono parole di statisti che ancora accompagnano i libri di storia, la nostra stessa educazione.
I grandi rimarranno grandi solo se avranno servito l’umanità cooperando per l’evoluzione, per la solidarietà umana, per il rispetto vicendevole al di là di interessi economici propri. Il rispetto della persona vale più di qualsiasi ricchezza economica, ha un valore che ancora non abbiamo  compreso e che non può essere barattato con nessun altro valore.
Quando nell’altro vediamo sempre un nemico significa che qualcosa è venuto a mancare in noi, quando la nostra parola manca di fiducia e di rispetto verso l’altro significa facilmente che la paura di perdere il potere sta immobilizzando tutti i nostri pensieri rendendoci fragili, impauriti. E ci si difende da questa paura agendo uno contro l’altro. E’ solo paura.
Il potere economico non può sopraffare le buone intenzioni di un popolo, la sollecitudine a dare il massimo per diminuire i casi di decessi. Ma veramente è questa la grande Mela? La grande America?
Di fronte a tali sofferenze il rischio di parole inadatte è alto, il rischio di essere naufraghi in un paese sempre più stigmatizzato come incivile, con scarse capacità umane.  Dietro l’economia di un popolo, c’è ben altro, il valore delle persone non può essere quantificato.
Dietro l’economia c’è  la  storia delle sofferenze di popoli diversi, l’emancipazione che non va mai disgiunta dal benessere condiviso senza alzare sempre muri, steccati. I nostri occhi riescono a guardare oltre quella “cultura” del possesso, dell’orgoglio nazionale.

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