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mercoledì 8 aprile 2020

Democrazia eccezionale

Le limitazioni alla libertà, imposte dal Covid-19, devono confrontarsi con le regole della democrazia, e con  la legittimazione formale: una prospettiva opposta all'invocazione di “pieni poteri” da parte di Matteo Salvini

di Teodoro Klitsche de la Grange

Non è un caso che negli Stati (sicuramente) democratici la proclamazione dello Stato d’eccezione nelle sue molteplici gradazioni e forme è attribuito a organi eletti direttamente o indirettamente dal corpo elettorale.
Così, per limitarsi all’esame delle costituzioni francese, tedesca e spagnola, l’art. 16 della Costituzione francese lo riserva al Presidente della Repubblica. Diversamente l’art. 116 della Costituzione spagnola alle Cortes, gli artt. 115 (e seguenti) della Costituzione tedesca al Parlamento. Anche se data l’urgenza che connota (alcune) situazioni eccezionali, misure d’urgenza possono essere decise dal governo salvo poi ratifica (approvazione, autorizzazione) del Parlamento (per la normativa spagnola e tedesca).
A una prima disamina ciò può considerarsi una conseguenza logica del carattere democratico del moderno Stato di diritto, che ripugna a conferire tale competenza ad organi non elettivi (e burocratici) come i comandanti militari (almeno per le zone interessate); o dal carattere politico delle situazioni eccezionali e delle misure, pertanto demandate ad organi politici e non amministrativi; o anche dalla necessaria compressione dei diritti fondamentali, che richiedono, ancora, volontà e responsabilità politiche, e così via.
È pertanto negata ad organi che non abbiano la fiducia, diretta (meglio) o indiretta del corpo elettorale. Il governo Conte 2 ha ottenuto sì la fiducia della maggioranza del  Parlamento, ma la ragione esternata per la nascita del suo secondo governo, era d’impedire a Matteo Salvini, attraverso elezioni anticipate, di ottenere la maggioranza parlamentare, sicura in base ai suffragi delle europee del 2019.
A parte altre motivazioni un po’ bizzarre, a questa si aggiungeva l’argomento decisivo della Repubblica antifascista: la reductio ad hitlerum ossia l’aver Salvini auspicato di andare alle elezioni per ottenere dagli elettori i “pieni poteri”…. al fine di attuare il programma di governo.
Un’assordante campagna di stampa (e TV) riduceva la dichiarazione del leader leghista alla (sola) parte centrale: omessa la richiesta di scelta da parte del corpo elettorale (decisiva per la legittimazione democratica) e dimenticato il fine della attuazione del programma di governo (non quindi d’instaurare una repubblica corporativa o dei soviet), la volontà eversiva del leader leghista era… manifesta (e… confessata).
Il tutto condito dalle solite litanie: la costituzione più bella del mondo, i valori della costituzione, i diritti dell’uomo (ma che ci azzecca?) e anatemi vari.
Non meraviglia che, con queste motivazioni ideali, si avverte che nei decreti del Presidente Conte ci sia una assenza (vistosa quanto) evidente del “programma” agostano di Salvini: il consenso e la legittimazione democratica. Cioè quello che fa la differenza tra un gorilla in divisa sudamericano e un Presidente eletto dal popolo: la legittimità o perlomeno il consenso democratico a chi decide. Confermata dai pessimi risultati dei partiti di Governo – eccezione solo per l’Emilia Romagna - in tutte le elezioni regionali succedute a quelle europee.
Dando prova di prudenza più che di correttezza istituzionale, ha fatto bene il capo del Governo a coinvolgere e cercare di coinvolgere nella gestione dell’emergenza le forze d’opposizione, e bene hanno fatto queste ad essere coinvolte; tuttavia è chiaro che per un governo claudicante in legittimità vale il detto di Ovidio: anche se vacat culpa sed tamen omen habet.

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