Le limitazioni alla libertà, imposte dal Covid-19, devono confrontarsi con le regole della democrazia, e con la legittimazione
formale: una prospettiva opposta all'invocazione di “pieni poteri” da parte di Matteo Salvini
di Teodoro Klitsche de la Grange
Non è un
caso che negli Stati (sicuramente) democratici la proclamazione dello Stato
d’eccezione nelle sue molteplici gradazioni e forme è attribuito a organi
eletti direttamente o indirettamente dal corpo elettorale.
Così, per
limitarsi all’esame delle costituzioni francese, tedesca e spagnola, l’art. 16
della Costituzione francese lo riserva al Presidente della Repubblica.
Diversamente l’art. 116 della Costituzione spagnola alle Cortes, gli artt. 115 (e seguenti) della Costituzione tedesca al
Parlamento. Anche se data l’urgenza che connota (alcune) situazioni
eccezionali, misure d’urgenza possono essere decise dal governo salvo poi
ratifica (approvazione, autorizzazione) del Parlamento (per la normativa
spagnola e tedesca).
A una prima
disamina ciò può considerarsi una conseguenza logica del carattere democratico del
moderno Stato di diritto, che ripugna a conferire tale competenza ad organi non
elettivi (e burocratici) come i comandanti militari (almeno per le zone
interessate); o dal carattere politico delle situazioni eccezionali e delle
misure, pertanto demandate ad organi politici e non amministrativi; o anche
dalla necessaria compressione dei diritti fondamentali, che richiedono, ancora,
volontà e responsabilità politiche, e così via.
È pertanto
negata ad organi che non abbiano la fiducia, diretta (meglio) o indiretta del
corpo elettorale. Il governo Conte 2 ha ottenuto sì la fiducia della
maggioranza del Parlamento, ma la
ragione esternata per la nascita del suo secondo governo, era d’impedire a Matteo
Salvini, attraverso elezioni anticipate, di ottenere la maggioranza
parlamentare, sicura in base ai suffragi delle europee del 2019.
A parte
altre motivazioni un po’ bizzarre, a questa si aggiungeva l’argomento decisivo
della Repubblica antifascista: la
reductio ad hitlerum ossia l’aver Salvini auspicato di andare alle elezioni
per ottenere dagli elettori i “pieni poteri”…. al fine di attuare il programma
di governo.
Un’assordante
campagna di stampa (e TV) riduceva la dichiarazione del leader leghista alla (sola) parte centrale: omessa la richiesta di scelta
da parte del corpo elettorale (decisiva per la legittimazione democratica) e dimenticato il fine della attuazione
del programma di governo (non quindi d’instaurare una repubblica corporativa o
dei soviet), la volontà eversiva del leader leghista era… manifesta (e… confessata).
Il tutto
condito dalle solite litanie: la costituzione più bella del mondo, i valori
della costituzione, i diritti dell’uomo (ma che ci azzecca?) e anatemi vari.
Non
meraviglia che, con queste motivazioni ideali,
si avverte che nei decreti del Presidente Conte ci sia una assenza (vistosa
quanto) evidente del “programma” agostano di Salvini: il consenso e la
legittimazione democratica. Cioè quello che fa la differenza tra un gorilla in
divisa sudamericano e un Presidente eletto dal popolo: la legittimità o
perlomeno il consenso democratico a chi decide. Confermata dai pessimi
risultati dei partiti di Governo – eccezione solo per l’Emilia Romagna - in
tutte le elezioni regionali succedute a quelle europee.
Dando
prova di prudenza più che di correttezza istituzionale, ha fatto bene il capo
del Governo a coinvolgere e cercare di coinvolgere nella gestione
dell’emergenza le forze d’opposizione, e bene hanno fatto queste ad essere
coinvolte; tuttavia è chiaro che per un governo claudicante in legittimità vale il detto di Ovidio: anche se vacat culpa sed tamen omen habet.
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