Il Covid-19 produce e accelera cambiamenti di segno incerto. Sono
indispensabili “virtù civili” per affrontare le emergenze in modo adeguato e
ottenere conquiste durature
di
Teodoro Klitsche de la Grange
Le
crisi sono spesso generatrici di
cambiamenti decisivi; che nascono da situazioni di emergenza. È l’eccezione
e non la situazione normale l’acceleratore della storia.
Tocqueville, a proposito della rivoluzione
francese scriveva che questa aveva compiuto bruscamente “con uno sforzo
convulso e doloroso, quanto si sarebbe compiuto a poco a poco, da sè e in molto tempo”. La rivoluzione realizzò in
pochi anni, e a prezzo di immensi dolori, quanto si sarebbe comunque
realizzato. Perché iscritto nelle tendenze della storia, e in buona parte
avviato dalla monarchia assoluta.
Certo tra crisi e cambiamenti la
relazione non è simmetrica, nel senso
che ogni crisi genera un cambiamento, ma è vero, come sopra cennato, che tutti
(o quasi) i cambiamenti reali seguono una crisi,
E questa tendenza – quasi una
regolarità – è sempre stata nella consapevolezza del pensiero politico
giuridico, da Polibio a Machiavelli, da Baruch Spinoza a Maurice Hauriou, da Santi Romano a
Carl Schmitt. Proprio Machiavelli
in un celebre capitolo del Principe (il XXV) ne dà una spiegazione/descrizione
nel rapporto tra fortuna e virtù.
Il segretario fiorentino ricorda che
molti sostengono “l’opinione che le cose del mondo sieno in modo governate
dalla fortuna e da Dio, che li uomini con la prudenzia loro non possino
correggerle, anzi non vi abbino rimedio alcuno” tuttavia dato che gli uomini
hanno il libero arbitrio, possono fronteggiare (l’avversa) fortuna con la
virtù: e la fortuna “sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam ce ne lasci governare l’altra
metà, o presso, a noi”: ma proprio in Italia la situazione della penisola era dovuta
alla mancanza nei governanti di “conveniente virtù” che invece non mancava in
Francia, Spagna e Germania.
Ed è la fortuna – cioè la situazione
critica che per così dire, “a dettare l’agenda”: per fronteggiarla il principe
deve adattare “el modo del procedere suo con la qualità dei tempi”. Talvolta
occorre essere decisi (ipotesi che Machiavelli ritiene maggiormente idonea) ma talaltra
prudenti. É l’idoneità dei mezzi apprestati a conseguire lo scopo, data la
situazione, a determinarne la validità.
Quando nei Discorsi passa da un discorso politico alla conseguenza
politico-istituzionale (in un regime repubblicano) individua il rimedio
nell’istituto della dittatura romana, la quale serve a fronteggiare la
situazione emergenziale (“gli accidenti istraordinari”), e a tal fine, rompere gli ordini (cioè
prendere misure straordinarie in deroga alle leggi, valevoli per una situazione
normale).
Nel corso della storia, in
particolare in quella moderna, il rapporto “paritario” (o quasi) sostenuto da Machiavelli
tra fortuna e virtù è stato spesso spensieratamente
sostituito dalla fede nel progresso umano (non solo tecnico-scientifico, ma
anche politico e “morale”) il quale farebbe si che l’esistenza della comunità
potrebbe scorrere su un binario tranquillo, fino alla stazione d’arrivo. Anzi
quella stazione sarebbe stata già raggiunta una trentina di anni orsono, con il
crollo del comunismo e “la fine della storia” (Fukuyama docet).
È chiaro che secondo i più
(sprovveduti) seguaci di tale concezione, di misure d’eccezione non c’è
bisogno, perché il controllo umano sul mondo attraverso la tecnica e quello
sulla stessa natura umana con il “pensiero unico” è tale da allontanare
qualsiasi situazione eccezionale. In primis
la guerra che di tante crisi è stata quella più considerata. Ma, accanto a
quella, meno drammatiche, ma assai più frequenti, ci sono crisi indotte dagli
eventi naturali (terremoti, inondazioni, pestilenze, carestie).
Anche se le emergenze provocate da
eventi naturali, per lo più, non producono effetti politici e storici epocali, non è mancato il contrario.
Secondo gli storici il crollo della talassocrazia minoica fu dovuto al maremoto
causato dall’esplosione del vulcano di Santorini; la fine delle civiltà
precolombiane alle epidemie dovute alle malattie diffuse dai primi marinai
spagnoli sbarcati in America, e che facilitarono grandemente il compito dei conquistadores.
Ancor più possono pertanto produrre
mutamenti non di civiltà, ma sicuramente di (costumi) legislazione e di forma
politica. Se le misure eccezionali riescono a dominare la situazione (a batterla e urtarla scriveva Machiavelli con un paragone che probabilmente
dispiace alle femministe) tornano, dopo la crisi, gli ordini normali; ma, talvolta è la crisi, anche dovuta ad eventi
naturali, a portare cambiamenti, fino alle innovazioni di forma politica.
Credere il contrario, che la storia
sia direzionale nel senso di un
progresso lineare, cioè l’inverso dell’andamento ciclico familiare al pensiero politico e giuridico è quindi, in
primo luogo, contraddetto dalla storia.
Peraltro lo stesso Fukuyama “correggendo
il tiro” del suo famoso saggio limitava (nel libro che ne seguì) la fine della
storia alle forme politiche; e nell’opera stessa attribuiva la concezione direzionale della storia a due fattori,
uno dei quali è la conquista tecnico-scientifica della natura.
Ma se, per così dire, tale conquista
non è ancora (totalmente) avvenuta, succede che la natura riprenda il proprio
ruolo, peraltro solo parzialmente intaccato dalla scienza e dalla tecnica. Ed
occorre costituire “ripari ed argini” (anche) nell’organizzazione dei poteri
pubblici.
Perché, contrariamente ai corifei
del progresso (ecc. ecc.) la natura (deus
sive natura, scriveva Spinoza) torna sempre a bussare. Come cantava Orazio,
natura expelles furca tamen usque
recurret.
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