Tra gli insulti, la storia personale di Silvia Romano convertitasi all'Islam
di
Sonia Scarpante *
(Commento di Angelo Perrone)
(ap) I segreti e
ciascuno di noi. Possono esserci strade che non si incontrano mai. Proseguono senza uno sbocco, che sveli il fondamento o la mistificazione delle
scelte. A Silvia Romano potrebbe succedere di rimanere, ancora una volta, da
sola. Con il suo tremendo segreto. Senza saperlo, senza fingere. Senza
scioglierlo.
C’è un divieto di
giudicare che è sacrosanto se riguarda la persona e i suoi diritti. Altra cosa
è la rinuncia alla riflessione sui temi che interrogano tutti. Il dramma di
Silvia non riguarda solo lei, ma chiunque abbia a cuore la sofferenza
dell’altro, e la sua libertà.
Umberto Galimberti scrive a proposito di Silvia Romano, la
cooperante liberata dopo 18 mesi di prigionia: “Forse Silvia si è convertita,
forse per necessità, forse per sopravvivenza nel tempo della prigionia, forse
per intima convinzione”. E aggiunge: «E allora perché la conversione? Non lo
sappiamo. E non dobbiamo neppure indagare, per non violare quel segreto che
ciascuno di noi custodisce nel profondo della propria anima, quale è appunto la
nostra dimensione religiosa. Una dimensione così personale, così propria, così
difficile da comunicare, perché quando si ha a che fare con sensi e significati
che oltrepassano la nostra esperienza condivisa, ogni discorso, nel momento in
cui si offre alla chiacchiera comune, rischia il fraintendimento”».
Le parole di Galimberti ci invitano a non giudicare mai
l’esperienza dell’altro, ad aver rispetto sempre e comunque della sua
testimonianza. L’esperienza è sempre individuale e mai interpretabile a fondo
ma può solo essere accolta nei limiti del possibile. Quante volte nella vita ci
è accaduto e ci capita di intravedere risposte certe anche per il rapporto che
nutriamo verso noi stessi e capire poi, in seconda istanza, che la vita ci
riserva comunque sorprese, realtà anche inimmaginabili?
Quante volte nella vita diamo un giudizio asserendo una
nostra verità che poi palesemente viene confutata quando siamo messi a vivere
la stessa circostanza e nella medesima prova rimaniamo come annichiliti perché
devastati da una sofferenza acuta che non prospettavamo di così vasta entità?
La vita ci cambia anche quando non lo vorremmo. Per molti di noi a volte la
realtà che ci viene incontro, il vissuto oltre l’immaginabile, le nostre
precostituite categorie mentali, il nostro “buon senso”, non regga al pari
della vastità della vita, dove nulla è certo, dove assaggiamo continuamente
l’imponderabile dell’esistenza.
Questa reciprocità fatta dall’incontro con l’altro e dal
nostro colloquio, ancora oggi carente per investimento etico, va riconquistata,
sensibilizzata per produrre senso civico, etica propedeutica nella ricerca di
un nuovo Umanesimo che può aiutarci a traghettare verso nuovi mondi appaganti.
E la politica, come investimento culturale sul concetto antico della polis,
oggi sembra rinunciare al suo riscatto sociale viste le innumerevoli diatribe
quotidiane a cui assistiamo e di così poco spessore individuale.
Proprio in questo periodo dove la “nostra verità” tende
sovente a primeggiare, le realtà vengono sconvolte da nuovi scenari mondiali
legate all’ineluttabilità del virus; oggi più che mai viene richiesta questa
lucidità personale di apertura al possibile, allo sconosciuto come segno di
occasione evolutiva e perturbabilità da valorizzare, possibilità di apertura
allo “Sconosciuto” come confronto arricchente. Ma quanto ancora siamo
sconosciuti a noi stessi?
Il filosofo aggiunge: «E quando non siamo noi, come nel caso
di Silvia in prigionia, a decidere della nostra vita, può accadere che si
tocchi con mano quello che Freud, ateo, già constatava quando diceva che “il
nostro io non è padrone in casa propria”».
Credo che l’esperienza di questa donna ci induca a spingerci
oltre i nostri perenni steccati, i nostri millenari pregiudizi da cui facciamo
sempre molta fatica a distanziarci senza arrivare a pensare che così ci
precludiamo ottime possibilità di conoscenza del sé, di approfondimento
interiore di «un’ulteriorità di significato rispetto a quello predisposto
dall’ipertrofia del nostro io».
*
Presidente dell’Associazione La cura di sé
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