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domenica 8 giugno 2025

Brusca, la libertà che stride con il dolore

(Altre riflessioni in Brusca, la collaborazione e le ferite della Giustizia, Critica liberale 5.6.25)

(Angelo Perrone) La notizia della definitiva libertà di Giovanni Brusca, ex boss mafioso e "pentito" coinvolto nella strage di Capaci (azionò il telecomando), riaccende il dibattito sulla finalità della pena.
Brusca, dopo 25 anni di detenzione e la collaborazione con la giustizia, vive ora in una località segreta, lontano dalla Sicilia, una conclusione che genera amarezza – espressa dolorosamente dalla vedova del caposcorta di Falcone – e solleva interrogativi.
La storia di Brusca è emblematica. Da un lato, la necessità dello Stato di combattere la criminalità organizzata ottenendo informazioni. Dall'altro, la concessione di benefici penitenziari a chi si è macchiato di crimini efferati si scontra con il sentimento di giustizia.
È difficile accettare che un autore di tali atrocità possa tornare libero. Giuridicamente, però, il sistema penale italiano non ha una finalità esclusivamente retributiva. L'articolo 27 della Costituzione afferma che le pene «devono tendere alla rieducazione del condannato». Questo principio, unito alla necessità di prevenzione generale (dissuadere altri dal commettere reati) e speciale (impedire al reo di delinquere nuovamente), giustifica istituti che prevedono sconti di pena in cambio di un contributo significativo alla lotta al crimine.
Il dilemma risiede nel bilanciamento, sempre problematico, tra efficacia investigativa e tutela sia del principio rieducativo che della richiesta di giustizia e memoria delle vittime. La libertà di Brusca resta una ferita aperta mettendo in luce il disagio della giustizia penale quando si confronta con il male assoluto.

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