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domenica 5 ottobre 2025

Flotilla, l'arbitrio della forza e il dovere di tutela dei cittadini

(RSI)
(Angelo Perrone) Immaginate un filo di seta, sottile, eppure tenace. È resistente, a condizione che non venga tirato troppo. Nell’abbordaggio alla Flottiglia in viaggio umanitario verso Gaza, il filo esile della legge è stato strappato.
La vicenda della Flotilla Global Sumud, che ha coinvolto cittadini italiani in acque internazionali, si è trasformata in un duplice trauma giuridico: un atto di forza esterno contro il diritto di navigazione e un’ignavia interna che ha negato il dovere di tutela. 

Intercettazione israeliana illegale
Il primo strappo è stato causato dall'azione di forza di Israele, l'abbordaggio di navi inermi cariche di aiuti in acque internazionali. Questo atto costituisce una palese violazione del diritto internazionale e della libertà dei mari.
L'azione contro un convoglio civile e umanitario, con a bordo cittadini pacifici impegnati in una missione umanitaria, ha reso concretamente drammatica la violazione del diritto, in quanto diretta contro la natura pacifica e la finalità morale di tale azione.
L'illegalità dell'intercettazione in acque internazionali è stata ribadita con forza da numerosi esperti. In Italia, Marina Castellaneta, ordinario di diritto internazionale all'Università di Bari, che sul Corriere della Sera ha sottolineato come le azioni di forza contro un convoglio civile in acque libere contravvengano i principi fondamentali della legge del mare e del diritto umanitario.

Il governo italiano: accusare invece di proteggere
Il secondo strappo è stato operato dal governo stesso, che ha assistito alla violazione dei diritti e alla coercizione subita dai propri cittadini come fosse un notaio, limitandosi a registrare i fatti e i possibili sviluppi.
Diversi atti stridono con il dovere di protezione e il principio di solidarietà costituzionale.
L’esecutivo ha scelto di condannare i propri cittadini in anticipo. Esponenti chiave, come il vicepremier Matteo Salvini e altre figure di livello della maggioranza, hanno spesso etichettato i partecipanti come "irresponsabili" e hanno lasciato filtrare da fonti di sicurezza le insinuazioni su potenziali "infiltrazioni da Hamas" nell’iniziativa della Flottiglia. Un atto di delegittimazione predittiva: anziché difendere il cittadino di fronte a un'azione di forza, lo si è reso preventivamente colpevole.

Tajani e la deriva dell’arbitrio
L'apice della crisi istituzionale e giuridica si cristallizza nelle parole del ministro degli Esteri Antonio Tajani: «il diritto internazionale conta, ma fino a un certo punto». Questa affermazione non rappresenta solo uno scivolone diplomatico, bensì la negazione della legge stessa e della sua funzione essenziale di argine al potere arbitrario. Infatti, essa pone un presupposto ideologico pericoloso per la concezione del diritto e della società: l'ammissione implicita che esista un limite alla legge, e quindi la legittimità dell’arbitrio e di un potere senza misura né norma.
Tale visione contrasta radicalmente con la tradizione della civiltà giuridica, fondata sulla supremazia della legge quale strumento per difendere e sviluppare i diritti fondamentali. 

La legge come argine al potere 
Gli articoli 10 e 11 della Costituzione sanciscono l’obbligo dell’Italia di conformarsi al diritto internazionale e di ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Affermare che il diritto internazionale «conta fino a un certo punto» significa erodere i fondamenti stessi di questi principi, ammettendo che la legalità possa essere sospesa in base a considerazioni di mera convenienza politica.
L'abbordaggio alla Flottiglia rappresenta simbolicamente questa crisi. La legge è stata violata dall'azione esterna che ha infranto le norme internazionali e la violazione è stata aggravata dall’omissione interna di chi, per dovere costituzionale, avrebbe dovuto difendere quei principi e invece ha anteposto l’opportunità politica alla supremazia della Costituzione. In questo contesto, il limite all’applicazione delle norme internazionali, evocato dal ministro, diventa il punto in cui la legittimità stessa del diritto rischia di precipitare.

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