di
Paolo Brondi
Allorché
favorevole è la stagione si può guardare il cielo notturno e la prima
impressione, se l’animo è sereno, è di stupore per quel brulicar di stelle
disperse su un fondo oscuro. Muovendo gli occhi, ci può venire incontro un
fasciame biancastro, la Via Lattea, e il pensiero va agli immensi spazi, a una
volta celeste ove è tutto un gioco di presenza assenza. Sono presenti quei
segnali luminosi, o particelle dotate di massa che, talvolta mobili nel caso di
satelliti o di veicoli spaziali, delineano una regione dell’universo oltre la quale
c’è quella assente, per luci che non hanno avuto il tempo di raggiungerci durante
la storia dell’espansione.
Le
tante straordinarie teorie scientifiche, fisico-matematiche, astronomiche, che
sono scientifiche proprio perché falsificabili, ci permettono solo
progressivamente di conoscere i segreti più profondi dell’universo. Nel
frattempo, perché rinunciare alle favole, al romanzo dei miti greci, che popolano
il cielo di voci e di verità, ancora oggi estremamente predittive e consolanti!?
Sono le voci delle sette sirene che intonano ciascuna una nota intorno a
ciascuno dei cieli, spandendo bellezza e armonia. Sono le verità di una rete
invisibile che lega il cielo alla terra, per cui tutto ciò che accade necessariamente
accadrà.
Tutti
si muovono avvolti nella stessa trama dove fili innumerevoli sono sempre pronti
a stringersi, ma non in modo fatale, bensì ad opera di divinità dal nome
Adrastea, Moira, Ananke, Ate, Dike, Nemesi, Erinni: tutte donne, tutte figure
della necessità che, dal cielo, immaginiamo calate per sanare gli eccessi del
vivere, vegliando ovunque, per modo che tutti gli esseri abbiano la loro parte,
non meno, non più, sì ché nulla e nessuno ecceda, secondo ciò che oggi si
chiama giustizia, vendetta e pudore.
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