La letteratura regala storie di fantasia per raccontare il dolore
dei giusti e le nostre speranze: sono carezze per l’anima, fanno riabbracciare
i sogni
di Mariagrazia Passamano *
di Mariagrazia Passamano *
Alcuni
libri sembrano attenderti da sempre, appaiono un po’ come i grandi
insegnanti capaci di leggerti dentro, di sognarti diverso, migliore.
Rappresentano quell’incontro che avresti sempre voluto fare, quell’amico che
sogni di riabbracciare, quello in grado di dirti sempre le parole giuste, quello
che ti va di ascoltare quando tutto sembra perso e rassegnato dentro e fuori di
te.
I grandi
romanzi sono luoghi che ci aspettavano pazienti, un appuntamento con
l’inconscio, con la parte del nostro Io più taciturno. Alcuni romanzi rimangono
circostanza, contingenza, ti sfiorano appena. Sono storie, storie di altri.
Altri invece, ti attraversano l’anima, ti emozionano a tal punto che non riesci
a distaccartene, non fino a quando non hai raggiunto l’ultima pagina.
Dopo
l’ultima pagina la frenesia ossessiva si placa e il ricongiungimento con il
mondo diventa più lieve, le tue pene sembrano placarsi e diminuire. I grandi
romanzi parlano di noi, delle nostre vite, dei nostri dubbi martellanti, ci
raccontano le nostre inquietudini, ci scuotono e ci aiutano a cogliere il mondo
come una domanda. Questi anche gli effetti dei due romanzi Lettere a un giudice e Il processo
di Paolo Saggese.
Li ho letti tutti di un fiato, senza pause.
Consiglio di leggerli insieme, di comprarli insieme, in quanto il secondo rappresenta
la continuazione narrativa del primo. Sono dei racconti fantastici che narrano
la storia di una sconfitta.
Il protagonista Candido, nome ispirato
all’omonimo personaggio di Pangloss di Voltaire, vi lascerà
sempre più esterrefatti. Ricordo di aver provato la stessa attonita curiosità
difronte ai racconti e alle avventure del protagonista de L’idiota, di Fëdor Dostoevskij, ovverosia del principe Myškin, che è una specie di
santo sconsiderato in un mondo peccaminoso, personaggio deriso e ridicolizzato
da gente meschina e abietta, semplicemente perché difronte alle ingiurie che
gli vengono rivolte lui arrossisce di vergogna per la bassezza altrui.
Candido, dopotutto, non è che un “idiota”, un
ingenuo, un uomo onesto, un utopista, uno che per partecipare ad un concorso
studia, studia tanto. È l’uomo dei mulini al vento, colui che lotta
contro il cinismo, contro il clientelismo, contro la logica della
raccomandazione e contro l’assenza dei diritti. Il suo dolore è il dolore dei
giusti.
Un dolore che mi ricorda l’amara sorte del
giovane Werther, la poetica intensità della pregustazione della grazia assoluta
e poi del baratro come conseguenza di quel bagliore, di quella sfiorata e poi
negata beatitudine. Candido sembra condividere con il giovane Werther e anche
con Jacopo Ortis, il conflitto tra ideale e reale, tra ciò che è e come si
vorrebbe che fosse e altresì quell’individualismo, quella
solitudine, dell’eroe che combatte titanicamente contro le convenzioni della
società e contro un destino che sembra già segnato.
Candido, solo
con i suoi libri, si rifugia nelle parole di Francesco De Sanctis, di Lucilio,
di Marco Aurelio per fugare le brutture e le storpiature dell’umano vivere.
Sullo
sfondo vi è la corruzione, che come antagonista indiscussa arriva a falciare, a
spazzare via i sogni, le speranze, la progettazione futura degli onesti e degli
umili.
La parola
“corruzione”, derivante dal latino corrumpĕre, disfare, guastare,
alterare, evoca, già nell’etimologia, tutta la potenzialità nociva dell’atto.
L’immagine è quella di una crepa, di una rottura rispetto all’integrità e alla
compostezza richiesta da un ruolo.
L’autore, attraverso il costernato racconto
del suo protagonista, mostra con tutta evidenza, quali possono essere gli
effetti lesivi a livello esistenziale della corruzione. Evidenzia, attraverso
il suo racconto fantastico, quanto la fenomenologia corruttiva possa, di fatto,
impedire il raggiungimento degli obiettivi di soddisfacimento e di
realizzazione personale.
Lo stile
è alto, ma non diventa mai puro virtuosismo estetico, non assume mai un
carattere elitario. È opera letteraria che incontra il volgo, che accoglie e
che consola. Sono dei romanzi che non si dissociano autisticamente dalla realtà
anzi, al contrario, si mostrano come sentieri aperti al grido indignato dei
vinti e come rifugio fraterno e consolatorio degli uomini che, come scriveva
Pasolini, “preferiscono perdere piuttosto che vincere in modo sleale”.
In alcuni
passaggi ho rivisto i miei ultimi dieci anni, il mio amore per il diritto, per
la letteratura e per la giustizia. Di fronte alle citazioni di Piero
Calamandrei, di Francesco De Sanctis, di Italo Calvino, di Seneca, di Marco
Aurelio mi sono commossa più e più volte.
Questi due libri mi hanno accarezzato
l’anima; ho ritrovato in essi le parole consolatrici di un amico, del mio
adorato e combattente professore, di colui che ha saputo portare il fuoco per
la conoscenza nella mia vita; di una persona che, anche grazie ai suoi libri,
si unisce al coro dei non rassegnati, di quegli uomini giusti che sono,
nonostante tutto, ancora capaci di lottare per la realizzazione del
migliore dei mondi possibili.
* Scrive sul blog Invent(r)arsi:
"Candido sembra condividere con il giovane Werther e anche con Jacopo Ortis, il conflitto tra ideale e reale, tra ciò che è e come si vorrebbe che fosse e altresì quell’individualismo, quella solitudine, dell’eroe che combatte titanicamente contro le convenzioni della società e contro un destino che sembra già segnato".
RispondiEliminaStiamo attraversando un bruttissimo momento di storia sul buon funzionamento della macchina della Giustizia.
Il destino ci è parso segnato più volte, i momenti di sconforto non sono mai mancati, sarebbe ipocrisia sostenere il contrario.
Però noi siamo più fortunati di Candido ed una vittoria l'abbiamo già in tasca: tutti uniti!
E tutti con un comune denominatore: lottare, sfinirsi fino all'inverosimile affinché la nostra dignità personale e professionale non venga mai più calpesta.
Grazie per le bellissime parole, con la promessa che appena finita questa bufera la prima cosa che farò sarà comprare e leggere i libri da Lei citati.
Catia Bianchi
Carissima Catia Bianchi, sono io che ringrazio Lei infinitamente per le bellissime parole di commento al mio articolo. Condivido pienamente: "lottare, sfinirsi fino all'inverosimile affinché la nostra dignità personale e professionale non venga mai più calpesta". Sono fiduciosa, nonostante tutto, credo che il migliore dei mondi possibili sia ancora realizzabile, anche e soprattutto grazie alle persone come Lei. Grazie davvero di cuore. Mariagrazia
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