Pagine

lunedì 10 luglio 2017

Corruzione, il destino non ancora segnato


La letteratura regala storie di fantasia per raccontare il dolore dei giusti e le nostre speranze: sono carezze per l’anima, fanno riabbracciare i sogni

di Mariagrazia Passamano *

Alcuni libri sembrano attenderti da sempre, appaiono un  po’ come i grandi insegnanti capaci di leggerti dentro, di sognarti diverso, migliore. Rappresentano quell’incontro che avresti sempre voluto fare, quell’amico che sogni di riabbracciare, quello in grado di dirti sempre le parole giuste, quello che ti va di ascoltare quando tutto sembra perso e rassegnato dentro e fuori di te.
I grandi romanzi sono luoghi che ci aspettavano pazienti, un appuntamento con l’inconscio, con la parte del nostro Io più taciturno. Alcuni romanzi rimangono circostanza, contingenza, ti sfiorano appena. Sono storie, storie di altri. Altri invece, ti attraversano l’anima, ti emozionano a tal punto che non riesci a distaccartene, non fino a quando non hai raggiunto l’ultima pagina.
Dopo l’ultima pagina la frenesia ossessiva si placa e il ricongiungimento con il mondo diventa più lieve, le tue pene sembrano placarsi e diminuire. I grandi romanzi parlano di noi, delle nostre vite, dei nostri dubbi martellanti, ci raccontano le nostre inquietudini, ci scuotono e ci aiutano a cogliere il mondo come una domanda. Questi anche gli effetti dei due romanzi Lettere a un giudice e Il processo di Paolo Saggese.
Li ho letti tutti di un fiato, senza pause. Consiglio di leggerli insieme, di comprarli insieme, in quanto il secondo rappresenta la continuazione narrativa del primo. Sono dei racconti fantastici che narrano la storia di una sconfitta.
Il protagonista Candido, nome ispirato all’omonimo personaggio di Pangloss di Voltaire, vi lascerà sempre più esterrefatti. Ricordo di aver provato la stessa attonita curiosità difronte ai racconti e alle avventure del protagonista de L’idiota, di Fëdor Dostoevskij, ovverosia del principe Myškin, che è una specie di santo sconsiderato in un mondo peccaminoso, personaggio deriso e ridicolizzato da gente meschina e abietta, semplicemente perché difronte alle ingiurie che gli vengono rivolte lui arrossisce di vergogna per la bassezza altrui.
Candido, dopotutto, non è che un “idiota”, un ingenuo, un uomo onesto, un utopista, uno che per partecipare ad un concorso studia, studia tanto. È l’uomo dei mulini al vento, colui che lotta contro il cinismo, contro il clientelismo, contro la logica della raccomandazione e contro l’assenza dei diritti. Il suo dolore è il dolore dei giusti.
Un dolore che mi ricorda l’amara sorte del giovane Werther, la poetica intensità della pregustazione della grazia assoluta e poi del baratro come conseguenza di quel bagliore, di quella sfiorata e poi negata beatitudine. Candido sembra condividere con il giovane Werther e anche con Jacopo Ortis, il conflitto tra ideale e reale, tra ciò che è e come si vorrebbe che fosse e altresì quell’individualismo, quella solitudine, dell’eroe che combatte titanicamente contro le convenzioni della società e contro un destino che sembra già segnato.
Candido, solo con i suoi libri, si rifugia nelle parole di Francesco De Sanctis, di Lucilio, di Marco Aurelio per fugare le brutture e le storpiature dell’umano vivere.
Sullo sfondo vi è la corruzione, che come antagonista indiscussa arriva a falciare, a spazzare via i sogni, le speranze, la progettazione futura degli onesti e degli umili.
La parola “corruzione”, derivante dal latino corrumpĕre, disfare, guastare, alterare, evoca, già nell’etimologia, tutta la potenzialità nociva dell’atto. L’immagine è quella di una crepa, di una rottura rispetto all’integrità e alla compostezza richiesta da un ruolo.
L’autore, attraverso il costernato racconto del suo protagonista, mostra con tutta evidenza, quali possono essere gli effetti lesivi a livello esistenziale della corruzione. Evidenzia, attraverso il suo racconto fantastico, quanto la fenomenologia corruttiva possa, di fatto, impedire il raggiungimento degli obiettivi di soddisfacimento e di realizzazione personale.
Lo stile è alto, ma non diventa mai puro virtuosismo estetico, non assume mai un carattere elitario. È opera letteraria che incontra il volgo, che accoglie e che consola. Sono dei romanzi che non si dissociano autisticamente dalla realtà anzi, al contrario, si mostrano come sentieri aperti al grido indignato dei vinti e come rifugio fraterno e consolatorio degli uomini che, come scriveva Pasolini, “preferiscono perdere piuttosto che vincere in modo sleale”.
In alcuni passaggi ho rivisto i miei ultimi dieci anni, il mio amore per il diritto, per la letteratura e per la giustizia. Di fronte alle citazioni di Piero Calamandrei, di Francesco De Sanctis, di Italo Calvino, di Seneca, di Marco Aurelio mi sono commossa più e più volte.
Questi due libri mi hanno accarezzato l’anima; ho ritrovato in essi le parole consolatrici di un amico, del mio adorato e combattente professore, di colui che ha saputo portare il fuoco per la conoscenza nella mia vita; di una persona che, anche grazie ai suoi libri, si unisce al coro dei non rassegnati, di quegli uomini giusti che sono, nonostante tutto, ancora capaci di lottare per la realizzazione  del migliore dei mondi possibili.

* Scrive sul blog Invent(r)arsi:

2 commenti:

  1. "Candido sembra condividere con il giovane Werther e anche con Jacopo Ortis, il conflitto tra ideale e reale, tra ciò che è e come si vorrebbe che fosse e altresì quell’individualismo, quella solitudine, dell’eroe che combatte titanicamente contro le convenzioni della società e contro un destino che sembra già segnato".

    Stiamo attraversando un bruttissimo momento di storia sul buon funzionamento della macchina della Giustizia.
    Il destino ci è parso segnato più volte, i momenti di sconforto non sono mai mancati, sarebbe ipocrisia sostenere il contrario.
    Però noi siamo più fortunati di Candido ed una vittoria l'abbiamo già in tasca: tutti uniti!
    E tutti con un comune denominatore: lottare, sfinirsi fino all'inverosimile affinché la nostra dignità personale e professionale non venga mai più calpesta.

    Grazie per le bellissime parole, con la promessa che appena finita questa bufera la prima cosa che farò sarà comprare e leggere i libri da Lei citati.
    Catia Bianchi

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Carissima Catia Bianchi, sono io che ringrazio Lei infinitamente per le bellissime parole di commento al mio articolo. Condivido pienamente: "lottare, sfinirsi fino all'inverosimile affinché la nostra dignità personale e professionale non venga mai più calpesta". Sono fiduciosa, nonostante tutto, credo che il migliore dei mondi possibili sia ancora realizzabile, anche e soprattutto grazie alle persone come Lei. Grazie davvero di cuore. Mariagrazia

      Elimina