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lunedì 10 luglio 2017

Il presente che vorremmo

Non è poi così male, la tradizione: vuoi mettere una lettera scritta a mano?

di Paolo Brondi

Posso apparire un tradizionalista. Lo ammetto, ma a patto di non confondere il tradizionalismo con un atteggiamento reazionario. Il reazionario distingue fra il presente negativo e il passato buono: la sua finalità è di restaurare il passato nel presente, negando ogni traccia di questo! 

Il tradizionalismo invece tende a garantire la continuità fra passato e presente, poiché nella tradizione c'è sempre qualcosa cui si è collegati: musiche, paesaggi, atmosfere, incontri, viaggi, libri, letture, che sempre sono colme di senso e godibili. Non nego il vantaggio dei progressi della scienza e della tecnica, ma ne critico gli eccessi e la conseguente diseducazione.
Si pensi alla trasformazione della comunicazione, resa un input telematico, mediatico. Attraverso i cellulari, i messaggi sono ridotti a pura linearità, spogli della parole, ovvero della parte espressiva, emotiva, empatica, quale è di un messaggio vivo, dialogico.
Una lettera scritta è ben diversa da un sms. In una lettera si comunicano non solo cose, ma pensieri, immagini, fantasie, dubbi, timori.. sentimenti e tante altre cose: si pensi ai puntini di sospensione, a quelli esclamativi, agli interrogativi, segni di creatività, ma anche delle intermittenze del cuore.
In questo tradizionalismo non c’è “determinismo”, è presente invece un modo etico, psicologico, metaforico, per superare le umane sofferenze. Non attraverso farmaci, ma con la parola, e soprattutto quella semanticamente forte, rifondatrice di serenità e salute, secondo un processo educativo iniziato sin dall’infanzia.
Scriveva infatti Martin Heidegger:  "Io so che tutto ciò che è essenziale e grande è scaturito unicamente dal fatto che l'uomo aveva una patria ed era radicato in una tradizione".

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