di
Marina Zinzani
(Introduzione di Angelo Perrone)
(ap) Racconti dedicati alle
emozioni. Ci vuole poco perché ci coinvolgano, scuotendo il tran tran
quotidiano, rompendo abitudini, cambiando il ritmo della vita. Nulla come
prima. Una selva di sensazioni che solo dopo, forse, potranno diventare altro,
mettere radici e trasformarsi in sentimenti, magari duraturi e costanti. E
allora orientare scelte e percorsi in modo sicuro. Non subito.
Sul momento non accade, manca la
lucidità, c’è uno stato di inquietudine rispetto alle emozioni, ne avvertiamo
la fragilità, eppure non possiamo nasconderci che sono importanti. Si
accompagnano talvolta a silenzi, vuoti di relazioni, assenza di parole.
Vorremmo dire tante cose ma non riusciamo a farlo. Dovremmo agire, prendere
delle decisioni, affrontare con schiettezza l’amico, il coniuge, il collega di
lavoro. Magari dirgli solo che vorremmo parlargli un po’. Qualcosa ci blocca.
Eppure avremmo tanto da dire:
denunciare un torto, reagire al dolore. Chiarire delle situazioni. Tendere una
mano a qualcuno in difficoltà. Non ci riusciamo. Ci sentiamo inadeguati.
Impossibile affrontare quello sforzo, piccolo o grande, che la vita esigerebbe.
Ci mancano proprio le forze. E’ allora che il viso si irrigidisce, non ha più
espressioni per manifestare lo sdegno, la ribellione, magari solo per dare o
forse chiedere una carezza. Diventiamo maschere di noi stessi.
Dopo Sabrina, dedicato all’invidia, Ilaria sulla rabbia, Rosa, incentrato sulla malinconia, Giacomo
sul senso di colpa, ecco il “senso d’impotenza”.
(Quando
la notte impedisce ai pensieri di aprirsi, e rimangono chiusi al buio, non si
può, non si deve, è meglio non fare, quando si resta immobili, frustrazione
latente, senso di malinconia, impedimento, ecco che una parola appare, forte
nell’esprimere ciò che non si muove, che fa soffrire: l’impotenza.)
Ho
44 anni e un buon lavoro. Non posso lamentarmi, di questi tempi. Ho una
situazione familiare un po’ complicata, nel senso che sono una donna separata e
il mio ex marito ha una nuova compagna e appare sereno, molto sereno, ha dei
progetti, fra cui quello di avere un figlio da lei.
Come
l’ho saputo? Mia figlia di 11 anni me l’ha detto, un giorno. “Mamma, papà mi ha
chiesto se mi farebbe piacere avere un fratellino…” e io ho abbozzato un
sorriso, avevo una nota dentro un po’ strana, triste direi, ma le labbra hanno
sorriso, perché mi sono imposta di affrontare la separazione con coraggio,
rendendo la faccenda a mia figlia il meno traumatica possibile.
Credo
di esserci riuscita, credo che mia figlia viva serenamente, e quindi un
fratellino le è sembrata una cosa ovvia, dato la nuova vita del padre. Ho
sorriso. Dovevo sorridere, e non mostrarmi fredda, sarcastica, ostile. Ho
deciso così, lo ripeto, devo salvaguardare la serenità di mia figlia prima di
tutto, e quindi evito discussioni con suo padre, cerco di avere un buon
rapporto con lui nonostante le cose non siano andate così bene fra noi…
Ma
questo è un altro discorso, è un’altra storia. Ci sono delle mattine in cui invece
vorrei gridare, ed abbandonare il mio atteggiamento garbato, vorrei potere dire
delle cose, delle cose che mi hanno ferito, fatto male, io credevo in questa
storia, io credevo in alcune persone, io credevo che la lealtà fosse un valore,
fosse qualcosa che rendeva le persone speciali.
Mi
ritrovo a piangere in macchina, delle volte. Quando non c’è nessuno con me,
certo, né mia madre né mia figlia. E’ il momento dei conti che si fanno in
silenzio con se stessi, e il passato appare come un insieme di pagine di cui si
comprende gli errori di scrittura, adesso li capisci, adesso comprendi che
dovevi fare, intervenire, dire subito alcune cose, affrontare, combattere,
cercare con la dolcezza di rendere tutto più sereno. E invece no, quelle pagine
appaiono pagine di un libro crudele, spesso. Ora ti chiedi come hai potuto non
capire, come gli occhi siano stati bendati, come non si sia data importanza
allora al tempo per sé, per l’altro, alle relazioni.
Quando
ci si separa si fanno queste considerazioni, ti guardi indietro e vedi che se
tu avessi, o non avessi… forse quella persona non sarebbe mai entrata nella tua
vita, portando tanta devastazione. Per il tuo compagno un’esplosione di
emozioni, per te il suggello del tuo fallimento. Di persona, di donna, di
compagna.
Non
puoi cambiare più niente ad un certo punto, la trasformazione è diventata
inarrestabile, non ci si riconosce più, non si riesce a comunicare serenamente,
c’è rabbia accumulata e non si sa per cosa, per eventi dal di fuori che
interferiscono e modificano in profondità, anche. Alla fine non ci si riconosce
più, e uno dei due soffre più dell’altro e si sente impotente, di fronte ad una
nuova realtà che deve affrontare. Poi ci sono i figli, e il buon senso fa
decidere di apparire civili, superiori, di considerare la loro serenità prima di tutto, e si prende
la decisione di non usare le armi.
Ma
qualcuno dentro non è d’accordo, qualcuno vorrebbe dire delle parole, vorrebbe
rompere anche qualche piatto, farebbe bene romperlo, e smettiamo di fare le
persone sempre civili, sottovoce, che cercano il giusto in ogni cosa!
Pensieri
che esplodono in macchina, o quando cammino sola, e vedo coppie innamorate. Poi
mi passa. Penso a mia figlia, a come è cresciuta, alla sua allegria e vivacità,
al suo essere positiva. E penso che ho fatto un buon lavoro, nonostante tutto.
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