Dietro la morte di tanti afroamericani per mano della polizia, il razzismo dai mille volti. Contro neri, stranieri, immigrati, persone con orientamenti diversi. Un’idea di società che parli a tutti
(Angelo Perrone) Dopo l’omicidio di tanti
afroamericani (non solo George Floyd), il clima sociale in America è
incandescente. La politica tenta una risposta, spesso confusa o inadeguata,
nonostante siano gravissime le conseguenze determinate dai contrasti razziali. Il
mondo intero è alle prese con la pandemia da Covid-19 e la stessa America è
incerta ed oscillante sulle misure da adottare.
E’ una fase in cui i problemi della convivenza civile
si mescolano a quelli della salute pubblica, della sicurezza e ovviamente
dell’economia. Quanto accade in America è emblematico, rispecchia difficoltà
proprie di tutto il mondo, pur declinate in maniera diversa. Altrove il
contrasto “razziale” non è assente, ma assume altre caratteristiche. Non è
preso di mira il nero, ma lo straniero, l’immigrato, chiunque sia “diverso” per
qualche motivo.
Per capire, bastano alcune cifre. Secondo la rivista
scientifica americana Plos One, un
afroamericano disarmato ha molte più probabilità di essere ucciso dalla
polizia, nel corso di un qualsiasi controllo, rispetto a un bianco, e tale
percentuale arriva a 20 volte in alcune contee.
D’altra parte non si può ritenere che il maggior uso della
forza contro i neri sia dovuto a una più alta diffusione del crimine nella
comunità afroamericana, perché le statistiche lo escludono. Dunque le morti più
frequenti non hanno giustificazione nel comportamento degli arrestati contro i
poliziotti e neppure nel maggior tasso criminale dei neri.
Ancora. La segregazione razziale è più evidente nelle
grandi aree urbane, dove non a caso i salari medi dei neri sono più bassi e maggiore
è la concentrazione di quella popolazione. E’ lo stesso Ufficio censimento
degli Stati Uniti a documentare il dissimilitary
index, ovvero il tasso di regolarità con il quale gruppi etnici diversi
sono distribuiti sul medesimo territorio. Posto che in America vi è comunque separazione
razziale, il dato medio è collocato a metà del range tra 0 (assenza di segregazione) e 1 (completa segregazione).
Ma, in aree molto popolate dai neri, ed importanti economicamente come New
York, Los Angeles, Detroit (dunque ovunque, da una costa all’altra), il tasso
di segregazione è molto più elevato della media nazionale.
La politica americana ha smesso di funzionare
efficacemente e, se non siamo alle soglie di una guerra civile, certo la principale
democrazia del mondo occidentale attraversa un momento delicato. L’atteggiamento
del presidente Donald Trump è di segno opposto a quella del dialogo e della
apertura davanti alle istanze della società, e finisce per incendiare ancora di
più gli animi.
La capacità di affrontare i problemi non esiste più
con questa amministrazione, che anzi cerca continuamente lo scontro tra
fazioni, la contrapposizione con chi esprime dissenso. Individuare possibili
nemici, esacerbare gli animi, accreditare ipotesi complottistiche, da ultimo minacciare
l’uso dell’esercito anche per reprimere manifestazioni pacifiche: è il disegno perseguito
da Trump.
La conseguenza è solo quella di lacerare il paese,
aggravare i problemi, lasciare insolute le questioni. E’ evidente che l’occhio è
rivolto alle elezioni presidenziali di novembre, da vincere ancora con i vecchi
metodi, alimentando le divisioni e chiamando a raccolta la parte più
influenzabile del paese. «Nessuno ha mai abusato cinicamente della sua posizione
come Trump per aizzare la sua parte politica», ha detto sconsolato Tom
Friedman, il più noto commentatore del New
York Times.
Le proposte avanzate dalla politica per prevenire gli
abusi della polizia oscillano tra il basso impatto pratico e l’anacronismo
irrealizzabile. Alcuni propongono di vietare il cosiddetto chohehold, cioè la manovra di soffocamento usata dal poliziotto nel
caso Floyd, come se bastasse per reprimere la violenza adoperata in genere dalla
polizia. Appena due giorni prima della morte di Floyd un poliziotto ha
scaricato 6 colpi di pistola contro un afroamericano fermato per eccesso di
velocità, che non aveva obbedito all’ordine di rimanere fermo in auto. Un caso
come questo rimarrebbe impunito?
Altri sostengono il Defund the police, ovvero un piano per tagliare i fondi alla
polizia: ridurre le risorse per limitarne i poteri, in un paese in cui i
dipartimenti di polizia sono alle dipendenze delle amministrazioni locali, sensibili
alle ragioni elettorali. Ma il rischio è che vengano ridimensionati anche gli
interventi legittimi e doverosi delle forze dell’ordine.
Infine, la proposta estrema, abolire tout court la stessa polizia: poi, chi
fa rispettare le leggi, come si contrasta la criminalità?
Il problema è che le proteste hanno bisogno di
leadership efficaci per affermarsi ed oggi esse mancano un po’ ovunque, sia a
Minneapolis che a Honk Kong o in Europa ed in Italia. Dalla parte opposta di
Trump, nel campo progressista, non vi sono leader – come un tempo Martin Luther
King – capaci di interpretare le istanze popolari, di trasformarle in domande per
l’intero paese. Le rivolte sono spontanee, prive di una visione d’insieme,
senza una proposta politica che sia alternativa al populismo e al radicalismo.
Può darsi, come avvertono alcuni, che oggi, al tempo
dei social media, tutto sia più
difficile e che proprio la creazione di «comunità» tanto estese e prive di
filtri rappresenti l’ostacolo più evidente alla creazione di leadership adeguate.
Nelle dimensioni orizzontali di questo tipo è forte la tentazione di lasciarsi
guidare dagli istinti piuttosto che dall’intelligenza.
Certo, di fronte al potere incendiario dei social,
non a caso sfruttato a fondo da personaggi come Trump, o in Italia da Salvini, è
significativo che proprio i baroni delle piattaforme siano i più contrari alla
costruzione di filtri rispetto all’incontrollata diffusione di fake news. Che servirebbero a impedire
l’abuso delle libertà degli utenti e a favorire il buon governo delle idee.
Eventi tragici come i comportamenti violenti della
polizia o la stessa pandemia dimostrano quanto sia decisiva la crescita
dell’etica personale, del senso di responsabilità, dell’equilibrio nei rapporti
sociali. In una parola come serva una politica che sappia valorizzare le istanze
di giustizia e solidarietà, e guarire tutti dall’odio.
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