L’attrazione eterna per la bellezza spinge in un dilemma: combattere le insidie del tempo oppure scoprire altre virtù, nascoste
di Laura Maria Di Forti
Da sempre la ricerca della bellezza, della
perfezione delle forme e dei colori ha appassionato l’animo umano, attratto per
natura verso tutto ciò che è piacevole a vedersi.
Gli antichi egizi credevano che attraverso la bellezza
si potesse entrare in contatto con la divinità e i greci erano convinti che il
bello fosse anche buono (καλὸς καὶ ἀγαθός), intendendo per buono chi è
valoroso, in guerra come nella vita, o pieno di virtù.
Anche il cristianesimo ha adottato questa
equazione dei due termini, asserendo che la bontà dell’animo si rispecchia
nell’aspetto fisico che diviene, per effetto di osmosi, più piacevole.
I latini coltivavano l’attività fisica perché
sapevano bene che anche lo spirito ne avrebbe avuto il suo beneficio,
migliorando l’umore e la concentrazione (mens sana in corpore sano).
Il trucco, sin dall’antichità più remota, è stato
utilizzato come stratagemma per apparire migliori, dare enfasi agli occhi e
alla bocca ma anche camuffare i difetti del volto e, in Oriente, la cosmesi
impiegava creme a base di frutta, come avocado e melone, o di riso,
quest’ultimo utilizzato dalle geishe perché donava un aspetto bianco latte alla
pelle, ritenuto vero indice di bellezza.
Lo specchio, dapprima di metallo lucido e soltanto
a partire dal XVI secolo in vetro grazie ai maestri vetrai che usavano una
mistura di mercurio e stagno per la verniciatura posteriore, era lo strumento
con cui misurare il proprio aspetto, anche se nel Medioevo cadde in disgrazia
perché la bellezza venne vista come arma del diavolo e, pertanto, l’umiltà
delle forme fu ritenuta prioritaria.
Ma è nel periodo rinascimentale che la bellezza
diventa oggetto di studio e, riprendendo i canoni estetici degli antichi greci,
si ricercano forme molto lineari e semplici. Le donne devono apparire virtuose
e colme di modestia, ma si sente forte la necessità di esplorare la grazia e la
piacevolezza in ogni aspetto della natura ed è così che la pittura e la
scultura danno vita a capolavori dove la perfezione delle forme e dei colori
appaga totalmente il bisogno di bellezza, intesa come suprema completezza.
La prospettiva ritrovata, la sapienza nel
riprodurre le forme del corpo umano grazie anche ai fruttuosi studi anatomici,
la sperimentazione nell’uso dei colori e la necessità di raffigurare soggetti
sacri, in particolare la Vergine, la Madre di Dio e quindi la donna priva di
difetti, porta gli artisti a produrre opere dove la bellezza viene esaltata e
diviene la protagonista assoluta. Anche i paesaggi risentono di questa nuova
concezione e, spesso, presentano angoli di incanto assoluto.
Nel 1700 bello è sinonimo di opulento,
ridondante, fastoso: capigliature, abiti, arredi e perfino giardini
rispecchiano questa nuova concezione. D’altronde, la classe imperante è la nobiltà
che, poco dopo, viene soppiantata dalla borghesia operosa. Il secolo
successivo, pertanto, vede una moda più severa e il concetto di bellezza è più
castigato.
E oggi? Oggi la bellezza è un imperativo
martellante, un diktat che influenza la nostra vita e ci porta spesso a
ricorrere alla chirurgia estetica. Insomma, si affrontano interventi pur di
apparire belli, in forma e, soprattutto, giovani, perché, al di là di ogni
ragionevole dubbio, la bellezza è legata imprescindibilmente alla giovinezza.
Il tempo, inesorabile, perfido e senza riguardo
per nessuno, tutto trascina con sé e lascia il segno del suo passaggio. Si
formano rughe dove prima c’era una pelle liscia e turgida ma, in questa era di
superuomini e superdonne, questo decadimento è una vera tragedia. E allora
diventa categorico ritardare l’invecchiamento o, quantomeno, ridurne i lati
negativi spianando rughe, tirando pelli cascanti e rimodellando volti e corpi
che non si inquadrano nei canoni estetici ultima moda.
Il ricorso alla chirurgia è la risposta agli
incubi odierni e l’unica alternativa alla morte sociale è annaspare tra le
innumerevoli e sempre costose tecniche di bellezza e ringiovanimento. La lista
dei trucchi chirurgici per fermare il tempo o per dare un naso alla francese a
chi dalla natura ne ha avuto uno aquilino, beh, è veramente lunga e, una volta
iniziato il giro di valzer, non si vorrebbe finire mai. C’è sempre un
ritocchino da rifare, un particolare da rimettere a posto, un lifting da
riprogrammare perché, lo sappiamo, la vanità è infinita e non ci si accontenta
mai.
In questa nostra società governata dalla
pubblicità che presenta sempre e solo donne giovani, magre, alte e bellissime,
uomini dal corpo scultoreo, di successo e dal sorriso perfetto, non c’è posto
per delle persone normali, un po’ sovrappeso magari, donne con le borse sotto
gli occhi e uomini con la pancetta. Eppure queste persone sono gente operosa,
hanno famiglie che li aspettano a casa, bambini da amare e amici a cui voler
bene. E la bellezza, allora?
La vera bellezza è altro, probabilmente. Qualcosa
di meno architetturale, di meno schematico, senza formule e senza misurazioni.
Qualcosa che la fotografia non possa immortalare e foto shop non debba
modificare. Ma cosa, allora?
Io credo che sia la virtù. Quale? vi chiederete.
Ma qualsiasi virtù: la dolcezza, innanzitutto, che tutto ottiene, la pazienza
che tutto perdona, poi l’umiltà che è apprezzata, quindi il buonumore che dona
il sorriso e la speranza, la buona educazione che lascia i cuori contenti, e la
carità che conquista ogni cuore. Una persona con almeno qualcuna di queste
virtù è un vero tesoro da amare, rispettare e tenere in gran conto.
E poi c’è la cultura, che veste di una
particolare luce la persona curiosa di sapere, di conoscere e spaziare con la mente,
la rende interessante e piacevole a sentirsi purché, chiaramente, non ceda
all’arroganza.
E infine c’è il fascino, quel non so che di
indefinito che rende la persona semplicemente irresistibile. Donne e uomini non
belli anche, magari perfino sgraziati che, come per un colpo di bacchetta
magica, un sortilegio o l’elisir di un potente mago, divengono attraenti, si
ricoprono di grazia, attirano le folle, attraggono come calamite.
Eccola, allora, la perfezione della donna ormai
in là con gli anni che ancora seduce col suo sorriso, l’uomo brutto che ammalia
con il suo sguardo, donne e uomini che attirano per la grazia del movimento, la
voce vellutata e, soprattutto, l’intelligenza delle loro menti.
Certa gente, se fosse esteticamente perfetta, non
sarebbe affascinante. Certa gente, probabilmente, se fosse bellissima, sarebbe
meno interessante perché la bellezza è statica, laddove il fascino è in
movimento, si trasforma, si ricrea, si rinnova.
La bellezza voluta, ostentata, ricercata ad ogni costo, la bellezza
finta, sintetica, quella che si propone ricomponendo i contorni del viso,
gonfiando labbra e riducendo profili, è un surrogato di bellezza ma,
soprattutto, è indice di una visione narcisistica e limitata della vita. Sono
altre le cose importanti.
La vera bellezza è l’imperfezione che si
trasforma in perfezione per la magia di uno sguardo, di una parola sussurrata,
la voce profonda, l’audacia di un gesto spontaneo e la potenza della mente. È
molto più seducente una persona normale che ha molto da dire, da partecipare e
da condividere, piuttosto di un essere perfetto e senza difetti se non quello
di essere un narcisista cronico.
E poi, parliamoci chiaro, il sorriso più bello è
quello che viene dal cuore e illumina gli occhi e non certamente quello che mostra
solo dei denti bianchissimi e perfetti.
E allora, occupiamoci di più della bellezza del
nostro cuore, dell’anima e della nostra mente, prima e più che del nostro corpo
e del nostro volto, e auguriamoci di incontrare uomini e donne perfetti nella
loro imperfezione, purché siano pieni di quelle virtù che li rendono leggeri
come piume, interessanti come un libro, romantici come una melodia.
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