La riforma sulla separazione delle carriere dei magistrati voluta da governo Meloni-Nordio mina l'unitarietà della giurisdizione e l'imparzialità delle decisioni giudiziarie. Non è una mera riorganizzazione, ma un intervento che intacca il cuore dell'amministrazione della giustizia italiana, La recente protesta delle toghe, anche a Roma, Milano e Bari lo scorso 10 giugno, evidenzia il rischio per la capacità di amministrare la giustizia nell'esclusivo interesse della collettività.
Nell'attuale sistema, la comune preparazione tecnica e la possibilità di passaggio tra funzioni giudicanti e requirenti (pur con limiti) hanno storicamente favorito una mentalità equilibrata e una migliore qualità professionale. Il pubblico ministero (PM), consapevole della prospettiva del giudizio finale, ha potuto ponderare l'accusa, mantenendo una visione garantista. Analogamente, il giudice, con esperienza delle dinamiche investigative, è risultato più attrezzato per valutare la fondatezza delle accuse. Questa "osmosi professionale" ha agito come deterrente contro la polarizzazione della giustizia.
Spezzando tale equilibrio, si rischia di creare magistrati più deboli e cittadini più indifesi. Il PM potrebbe trasformarsi in un mero "accusatore", perdendo il ruolo di garante di legalità che la Costituzione gli assegna, con l'obbligo di indagare sia a carico che a favore. Ciò comprometterebbe l'indipendenza del giudice, la cui imparzialità dipende anche da un PM altrettanto indipendente.
Già Cesare Beccaria nel XVIII secolo auspicava un processo giusto e imparziale, con funzioni distinte ma unite da una comune tensione verso la verità, non da logiche di parte. Un giudice privato della profonda conoscenza investigativa, garantita oggi anche dalle esperienze incrociate, potrebbe trovarsi di fronte a un'accusa meno ponderata e più aggressiva. Come sottolineato da Gustavo Zagrebelsky, l'indipendenza della magistratura è essenziale per la democrazia, e alterarne l'equilibrio interno compromette la libertà del cittadino dall'arbitrarietà.
Un PM allontanato dalla giurisdizione perderebbe la visione ampia necessaria alla nostra giustizia. Il cittadino si troverebbe dinanzi a un sistema meno flessibile, più incline a una giustizia polarizzata. Montesquieu, teorizzando la separazione dei poteri, intendeva un sistema di pesi e contrappesi contro le influenze esterne, non la creazione di corpi contrapposti all'interno della stessa magistratura.
Questa riforma, proposta dal governo Meloni-Nordio, non è una questione di privilegi, ma di preservare un baluardo della democrazia. Rischia di rendere la giustizia meno flessibile, equilibrata ed equa, minando indipendenza ed efficacia senza reali benefici, aprendo la strada a ingerenze politiche o a una giustizia meno garantista. La posta in gioco è la lesione dell'imparzialità dell'intero sistema. Il grido d'allarme di chi opera nella giustizia è un monito a salvaguardare la funzione giudiziaria, che deve rimanere imparziale, indipendente e al servizio esclusivo dell'interesse pubblico. Ignorare questo allarme sarebbe un prezzo troppo alto.