(Angelo Perrone) La "pena naturale" è un concetto non codificato ma profondamente dibattuto. Ritorna attuale nel caso della madre milanese (Tgcom24, 20 giugno 2025) che, involontariamente, ha ferito in modo grave il figlio. La richiesta di archiviazione del Pm, basata sul riconoscimento della devastante sofferenza già provata dalla donna – "sconta già un ergastolo" – evidenzia la tensione tra la fredda logica del diritto e il dolore umano.
Un'analisi di questa intersezione tra giustizia e sofferenza, nell’articolo: "La vita si fa giudice: il confine incerto della pena naturale", sul magazine Eurispes.it.
La "pena naturale" indica una sofferenza così schiacciante da far dubitare dell'opportunità di una sanzione statale. Tuttavia, la sua applicazione incontri ostacoli nelle regole generali, primo fra tutti il principio di legalità (art. 25 Cost.).
Quest'ultimo dà garanzie di certezza e prevedibilità, e tutela il cittadino dall'arbitrio. L’aspetto più insidioso, e alla fine ingiusto, è che la considerazione della sofferenza umana sino a equipararla a sanzione consenta una discrezionalità infine arbitraria e quindi ingiusta. Un esito certamente non condivisibile e pericoloso.
La giurisprudenza riconosce la drammaticità di episodi di questo tipo, tuttavia ribadisce il principio per cui il diritto non deve identificarsi con il dolore e non può compromettere il giudizio necessariamente improntato ai canoni della equità e uniformità.
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