(Angelo Perrone) La notizia dei 114 milioni di euro di tagli alla giustizia è un segnale forte sulla reale priorità che il Governo riserva alla giustizia e ai diritti dei cittadini, mentre l’attenzione è distratta dal mitico progetto della separazione delle carriere dei magistrati.
Questo taglio, frutto di un’operazione di "economia" imposta dal Ministero dell'Economia ai vari dicasteri, rivela il disinteresse per una funzione cruciale per la vita dei cittadini.
Le ricadute sui cittadini saranno gravi e tangibili. La scelta del ministro Nordio (Il Messaggero, 30 giugno 2025) di concentrare i tagli principalmente sugli istituti penitenziari, nonostante l’allarme lanciato dal presidente Mattarella sullo stato delle carceri, è emblematica e carica di conseguenze nefaste.
L'idea di sostituire "più turni di sorveglianza" con "più telecamere installate nelle carceri" non è affatto un segno di modernità o efficienza, ma un pericoloso passo indietro.
Cosa significa in concreto? Meno occhi umani, meno capacità di prevenire violenze tra detenuti o atti di autolesionismo, meno tempestività negli interventi in caso di emergenze mediche o risse. Si traduce in un ambiente più pericoloso sia per i reclusi, privati di un'adeguata supervisione e di percorsi di riabilitazione significativi, sia per il personale penitenziario, già sotto organico e ora esposto a rischi ancora maggiori.
La sorveglianza elettronica non sostituisce l'interazione umana, necessaria per mantenere un barlume di dignità e per favorire quel percorso di reinserimento sociale che è fondamentale per la sicurezza di tutti. Rischiamo di trasformare le nostre carceri in meri depositi di persone, con un impatto devastante sul tasso di recidiva e, di conseguenza, sulla sicurezza collettiva.
Ma le conseguenze non si limitano alle mura carcerarie. Proprio mentre si discute di questi tagli, i precari dell'Ufficio per il processo – figure cruciali introdotte con i fondi del PNRR per accelerare i procedimenti giudiziari e ridurre l'enorme arretrato – stanno lottando per il loro futuro. Se il loro impiego non verrà garantito, si assisterà a un inevitabile rallentamento della macchina giudiziaria.
Il costo è sulle spalle dei cittadini: tempi processuali più lunghi, sia per le vittime in cerca di risarcimento e giustizia, sia per gli imputati che attendono un verdetto. E poi incertezza prolungata per le imprese e gli investitori, scoraggiati da una giustizia lenta e imprevedibile.
In un Paese che ambisce a essere moderno ed efficiente, tagliare la giustizia è un autogol. È un segnale di disinteresse verso la tutela dei diritti, la certezza del diritto e l'efficienza dello Stato. Invece di investire per superare le croniche lentezze e carenze del sistema, si preferisce applicare una logica ragionieristica miope, che scaricherà il peso di queste scelte direttamente sulle spalle dei cittadini, privati di un accesso effettivo e rapido a un servizio di giustizia equo e funzionale. È un grave impoverimento per l'intera società.
Si sà quanto incassa annualmente lo stato dalla (in)giustizia italiana tramite Ag.delle Entrate?
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