lunedì 14 settembre 2015

Leggendo Emily Dickinson: Il punto di arrivo è dolce



Crisis is sweet and yet the Heart
Upon the hither side
Has Dowers of Prospective
Surrendered by the Tried -
Inquire of the proudest Rose
Which rapture - she preferred
And she will tell you sighing -
The transport of the Bud


Il Punto d'arrivo è dolce eppure il Cuore
Da questo punto di vista
Ha Doti Potenziali
Sconosciute al Realizzato -
Chiedi alla Rosa più orgogliosa
Che rapimento - ha preferito
E ti dirà sospirando -
L'estasi del Bocciolo -


(ap) Un immaginario viaggio nell’arte pittorica dell’800 e nella letteratura di quel secolo incrocia necessariamente la lirica di Emily Dickinson, la poetessa americana che visse, come una reclusa, una gran parte della sua vita, mai uscendo dalla casa nella quale era nata.
Alcune domande (Come la donna si vede? Cosa pensa di sé?), che la visione di quell’arte e la lettura dei testi letterari possono suggerire in quel percorso fantasioso, denso di rilievo storico e di significato attuale, incontrano la risposta della giovane poetessa americana che ha osservato la vita senza viverla, che ha parlato dell’esistenza senza percorrerla, e che ha raccontato sentimenti umani vissuti soltanto nel suo animo.

Secondo questa concezione fortemente intimistica, riversa su se stessa, la vita è descritta assumendo simbolicamente gli eventi della natura come momenti esistenziali decisivi, come fonte di riflessione, come suggerimento e stimolo per l’animo inquieto e tormentato.
In questa lirica, la poetessa racconta che “il punto di arrivo” nelle cose è quasi sempre appagante, il risultato che raggiungiamo ci soddisfa e rallegra, e tuttavia i nostri sentimenti più forti sono forse quelli che si provano quando tutto sta per nascere, quando si immagina l’avvenire, quando le aspettative sono maggiori.
E’ bello vedere la rosa già sbocciata, e la rosa sente la fierezza di essere tale, ma lo stesso fiore, pur al culmine della crescita e della bellezza, non può non guardare con nostalgia, ricolma di tenerezza e di gioia, al quel momento iniziale in cui tutto doveva ancora compiersi, e vi era soltanto “l’estasi del bocciolo”. Allora, incontenibili erano le speranze, e ciò che facevano battere il cuore erano i pensieri del futuro e non i ricordi del passato. Seguendo questa metafora naturalistica, si potrebbe dire dunque, il viaggio è più importante della meta.

Emily Elizabeth Dickinson (1830-1886), di salute precaria, timida e schiva, a trent'anni si ritirò in un isolamento completo con la compagnia dei suoi soli familiari per dedicarsi a coltivare la sua straordinaria e incontenibile vena poetica, unica e più alta espressione del suo sentire.
Nel distacco dal mondo, nella solitudine fisica, cercò la grandezza della sua libertà interiore, la possibilità di spaziare ovunque con l'animo, di ricercare ogni frammento esistenziale e di raccontarlo nei suoi versi.
In una vita priva di relazioni umane, senza eventi materiali, l'evento fu proprio lei, la persona capace di osservare la natura dalla sua finestra, aperta sul giardino di casa e dischiusa sul mondo intero, e di vivere con la fantasia amori e sentimenti purissimi, conosciuti soltanto dalla sua anima e mai esternati ad alcuno.

La frontiera del suo mondo e del suo paese era costituita dalla siepe che cingeva il suo giardino: la poetessa fu una solitaria, affascinata dal divino.
L'inquietudine che traspare nella sua lirica spesso vigorosa e innovativa, l'irrequietezza nascosta nei versi impregnati di pause e non solo di parole, con un lessico fatto di maiuscole e di trattini, ispirati ad amarezza ed esaltazione, aperti allo stupore e all'incertezza, così lontani dalla sua epoca, l’hanno resa oggi, proprio per questo, modernissima ed attuale.
In un'epoca che esaltava le donne come angeli del focolare, attuò una ribellione interiore, esaltò il gusto della vita in piena libertà, cantando, in un mondo spesso vuoto di certezze, la bellezza e la gioia del sentimento puro, tanto da farle dire: “Ero così allegra che per me / l’arcobaleno era la norma / e i cieli vuoti / l’eccezione”.

Sconosciuta in vita ai contemporanei, lasciò alla sua morte circa 2000 composizioni, scritte in grande segreto, che testimoniano un rapporto dissonante e non armonico, ma anche esaltante, con la vita reale. 
Riassunse lei stessa i termini di questa relazione difficile, definendo per i posteri la sua opera letteraria “la mia lettera al mondo, che non ha mai scritto a me”.

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