giovedì 23 febbraio 2017

La vita in scena

Renato Guttuso. I ricordi del passato, le immagini del presente: un riassunto autobiografico

di Marina Zinzani
(Con un intervento di Angelo Perrone)

La tristezza negli occhi
si riconosce quello sguardo
è quello delle persone spente
che sono state spente
ogni giorno
un po’ ogni giorno
una parola prima
uno sguardo poi
atteggiamenti per polverizzare
quello che di vivo c’era
rimane poco di queste persone
vittime
lo sguardo abbassato
il rinchiudersi
sorridere con le labbra stanche
triste triste triste
è la vita spenta
da una persona più forte
vicina
riprendersi la dignità
urlare
aprire la finestra
e sentirla, ancora
la speranza.

(ap) “Le età della vita” era il titolo prescelto da Renato Guttuso (1911-1987) per sintetizzare il senso di un’opera (1982) che racchiude la sua eredità spirituale, prima che lo cambiasse in quello di “Spes contra spem”, sperare contro ogni speranza, tratto dal testo della “Lettera ai Romani” di San Paolo.
Il tema del trascorrere del tempo, accennato con la raffigurazione di un uovo e un teschio, l’inizio e la fine della vita appunto, si amplia così a dismisura in quell’ampia stanza ritratta nel quadro, densa di personaggi e cose, aperta su un balcone che affaccia verso il mare siciliano. Gli uni colti in momenti diversi della loro esistenza e variamente affaccendati. Le altre, di natura assai eterogenea, espressive di molti significati.
Un impianto spaziale complesso ed articolato, ricco di spunti e di riflessioni, per raccogliere i ricordi del proprio vissuto in una straordinaria cerimonia degli addii, e per raccontare le impressioni tratte dal presente.
I luoghi del sentimento comprendono innanzi tutto la memoria infantile e minacciosa dei mostri di Villa Palagonia a Bagheria ma essi sono ritratti in alto, ricacciati sul soffitto e forse nell’animo: la loro incombenza è attenuata nel passaggio dal colore blu scuro con cui sono ritratti sulla sinistra a quello celeste tenue che appare sulla destra.
La stanza raffigura lo studio del pittore, ed è affollata di figure e oggetti. Da un lato personaggi raccolti intorno a un tavolo con gli strumenti da lavoro ed una tela, ed immagini che richiamano il passato e vengono da lontano, come i libri, il telefono, la sedia di vimini, i drappi; dall’altro amici impegnati nel presente in un pacato discorrere.
In primo piano, una bambina corre velocemente senza una meta sfrecciando davanti agli occhi dello spettatore: è l’unica immagine di un’azione dinamica, in contrapposizione al lento incedere dell’esistenza espresso dalla figura della tartaruga, da cui i passi della fanciulla sembrano avere inizio. In quel progredire dalla lentezza infantile alla velocità adulta è lecito supporre che sia sempre bello sperare contro ogni speranza.
Cose e simboli emergono da sedimentazioni dell’animo di cui spesso ci sfugge la profondità e possono rappresentare il riassunto autobiografico di un’esperienza di vita, tra passato e presente.
Il centro della scena, nonostante la folla di immagini, è comunque occupato dal nudo di donna rivolto verso una finestra, che apre la sua vista sul paesaggio di mare colto nella sua luce mattutina. Un diaframma, quella finestra, assolutamente trasparente che non divide il privato di ciò che è contenuto nella stanza dal pubblico che fluttua fuori.
La suggestione che proviene da quella figura femminile affacciata alla finestra trascende il potere attrattivo della pur intensa nudità e si identifica invece nel richiamo seducente del senso dell’attesa di fronte alla vita. E’ un atteggiamento che si nutre di curiosità, privazione, anche esibizionismo, comunque voglia di libertà, ed è immerso in una rarefatta dimensione di quiete e di sospensione, in cui è possibile cogliere l’essenza più profonda dell’esistere.

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