venerdì 4 luglio 2014

La voce silenziosa

 Racconto di Marina Zinzani


C’era una formica sul tavolo, una formica con la testa rossa. Camminava senza una precisa direzione, tornava vicino a lei e poi si allontanava. Forse voleva scendere da quel tavolo, chissà. Tutto, intorno, era quieto, in quel pomeriggio di fine primavera.
Il grande albero nel giardino creava un’ombra che copriva il tavolo e le sedie. Pareva che lì, sotto quell’albero, ci fosse solo qualche mosca che girava, e quella formica che da una decina di minuti passeggiava senza meta.
Era quello il momento del pomeriggio che Sonia preferiva. Scendeva nel giardino e stava lì, ad ascoltare. Non le interessava portarsi qualcosa da leggere. Sapeva che i brutti fatti di cronaca l’avrebbero distolta, che le sarebbe salita una tristezza mista a vuoto che ben conosceva. Essere informata del mondo non le interessava. Non più, da anni.


Doveva stare lì, nel silenzio. Perché, forse, in quel silenzio, lui sarebbe venuto. Era già successo una volta, e l’aveva salvata. Non l’aveva fatta impazzire, almeno.
Doveva solo chiudere gli occhi e respirare profondamente. Sentire lo stridio di qualche uccello lì vicino, sentire il sole che superava le foglie, i rami, e si posava lieve sulle sue guance. E poi aprire gli occhi, e guardare le ombre del grande albero sul tavolo, che parevano muoversi anch’esse, ombre mosse dal vento.
Doveva stare lì e respirare… Forse era quello il momento giusto… Tenere chiusi gli occhi… sentire il silenzio… perdersi nel silenzio… perché lì stava lui… Cominciò a ricordare, e non erano forse ricordi, era un sogno. O forse qualcosa di accaduto.


I vicini di ombrellone, i ghiaccioli, il telo con cui asciugare Guido che da ore era in acqua e non voleva risalire. Le albicocche e le pesche che si era portata da casa, custodite in un contenitore di plastica. Frutta, tè freddo. Guido e suo padre che vanno insieme ai giochi e ci stanno un’ora, Guido che non vuole più andarsene, che fa i capricci quando è ora di smettere.
Una vicina di ombrellone incinta. Partorirò fra tre mesi. Suo figlio quanti anni ha? Ne ha sei. Ah, sembra più grande. Sì, è grande Guido, sembra già un ometto, con lo sguardo di bambino e una saggezza strana da adulto.
Il giornale di pettegolezzi fa compagnia, sotto l’ombrellone. Guido arriva con un bambino conosciuto poco prima in spiaggia, hanno delle palline di plastica, quelle palline che cominciano a fare scorrere in una pista creata fra la sabbia.  Una pallina bianca e blu, la sua.


Dura poco il gioco. L’altro bambino si arrabbia, urla, si allontana rabbioso. Guido la guarda, e lei, sua madre, gli dice di non preoccuparsi, che quel bambino è prepotente e maleducato. Stai qui, guarda questi giornalini, non ci pensare più. Ad un tratto Sonia fu interrotta da quel torpore. Urla di bambini chiassosi, una mamma che chiamava un bambino ad alta voce.
La formica le si era avvicinata di più. Lei ne vedeva perfettamente la sua testa rossa. E la formica si trovò a girare attorno ad una goccia, poi ad un’altra, ad un’altra ancora… Con il dorso della mano Sonia si passò una mano sugli occhi.


La giovane madre si era avvicinata al piccolo e lo rimproverava, ma questi la guardava e rideva. Era la prima volta che Sonia vedeva quel bambino, chissà se abitava nel palazzo…
Ad un tratto il bambino lanciò per terra una pallina guardando la madre, una pallina che arrivò vicino a Sonia. Allora la donna si alzò e la raccolse. Fece per darla al bambino, che le stava venendo incontro.  La guardò, la girò fra le dita, quella pallina era metà bianca e metà blu.
E allora tornò a sedersi e si sentì improvvisamente leggera. Con una sensazione che solo una volta, poco dopo l’incidente che si era portato via Guido, aveva sentito. E ora sentiva di nuovo una pace strana, lieve, che si mescolava a quella pallina bianca e blu, alle foglie, agli alberi, alle voci dei bambini che giocavano, ai fili d’erba mossi dal vento.

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