mercoledì 30 ottobre 2013

Federico Fellini, il dolce sogno della vita



(ap) Cosa ci manca di Federico Fellini?  “La sua giacchetta, un orecchio, un pezzo di naso?”, si è chiesto ironicamente Roberto Benigni, che aveva lavorato con lui a La voce della luna, e ne era rimasto amico. Non solo queste piccole cose. “Mi manca invece proprio tutto: il fatto di parlargli, il fatto di come ti guardava, tutta la persona intera”, ha osservato commosso il comico, per una volta fuori dei panni del toscanaccio irriguardoso.





A 20 anni dalla sua scomparsa (31 ottobre 1993), il cinema tutto, non solo italiano, celebra con una miriade di iniziative, non meno rilevanti di quelle del decennale, uno dei suoi esponenti più noti, il maestro che seppe dare forma ai sogni. Dalle mostre dedicate alla sua filmografia e alla sua vita alla ripresentazione in versione restaurata di lavori celebri, all’ascolto delle colonne sonore che accompagnarono quelle immagini. Infine, alla vera e propria “celebrazione” del mito, vincitore di 4 premi Oscar, con convegni e manifestazioni, nella sua tanto amata Rimini, dove ora è sepolto accanto alla moglie Giulietta Masina.

Di tutto e di più. Manifesti, spot d’autore, provini, scene tagliate e non utilizzate, caricature, fotografie, documentari, in parte conosciuti, in parte mai visti. Caleidoscopio di immagini e ricordi, per tentare di ricomporre il mosaico di un Amarcord indimenticabile dell’uomo, del regista, del sognatore. Di colui che amava definire se stesso come "un artigiano che non ha niente da dire, ma sa come dirlo" e che ci ha lasciato opere ricche di poesia, e velate di una sottile e struggente malinconia.
Nell’arco di quasi quaranta anni, Fellini ha attraversato, con il suo cinema, tutto il dopoguerra, segnandone la fine, ed ha percepito le inquietudini della rinascita economica, e dei tempi moderni, cogliendone i mutamenti di costume, e persino etici.


Eppure, questo lungo viaggio nel tempo e nella realtà è sempre avvenuto sfuggendo ai canoni tradizionali del realismo, tipico del cinema italiano post bellico, per assumere i caratteri della magia, e dell’invenzione, persino dell’abbandono alla pura immaginazione stimolata soltanto dalla memoria. Talora, senza una rotta precisa cui tendere, e persino senza che i film avessero una trama troppo delineata e rigida, specie in fase di progetto. Soltanto con degli spunti iniziali, idee appena abbozzate e ancora da definire, in attesa, si direbbe, che i personaggi memorabili da cui creati, i luoghi della mente e del cuore riprodotti trovassero, come d’incanto, da sé soli, vivendo e raccontandosi davanti alla macchina da presa,  la loro storia, il loro modo di presentarsi al pubblico.


Così raccontava il suo rapporto disincantato con la troupe (e in vero con il film stesso), il primo giorno de Lo sceicco bianco: «Si erano imbarcati tutti in un barcone che era a un chilometro di distanza su un mare immenso. Lontanissimi, irraggiungibili. Mi domandavo ‘E ora cosa faccio?...' Non ricordavo la trama del film, non ricordavo nulla, desideravo tagliare la corda e basta. Dimenticare. Poi, però, di colpo tutti i dubbi mi svanirono quando posai il piede sulla scala di corda. Mi intrufolai tra la troupe. Ero curioso di vedere come sarebbe andata a finire ».
Preparava il materiale da rappresentare osservando la vita nei suoi lati più curiosi. Ne avrebbe scoperto solo dopo – riprendendola con la macchina da presa -  il suo senso più profondo.  « Mi sento un ferroviere che ha venduto i biglietti, messo in fila i viaggiatori, sistemato le valigie nel bagagliaio: ma dove sono le rotaie? »


I ricordi e la memoria erano capaci di costruire eventi e personaggi in cerca di un autore e di una rappresentazione, e proprio questo spazio costituiva il più autentico canovaccio in cui l’energia creativa di Fellini ha potuto manifestarsi. Spesso travolto lui stesso dalla cavalcata di invenzioni che sapeva creare, oppure smarrito di fronte ad esse, come un bambino che assiste stupito al sorgere di mille prodigi.
Allora, il set di Cinecittà, luogo prediletto di tante ricostruzioni cinematografiche, poteva davvero essere la forma dell’immaginazione. Esprimere i suoi molteplici stati d’animo:  il congedo dalla provincia natia e dall’adolescenza, l’assimilazione del proprio passato, il ritorno alla terra di origine, la rielaborazione artistica di ricordi e suggestioni.
Il sogno, più del pensiero, ci è necessario con le sue invenzioni ed improvvisazioni,  per avere la più autentica percezione delle immagini e dei suoni solo apparentemente reali, e magari per esprimere i desideri inappagati della vita di ogni giorno. In fondo, osservava Fellini: “Il visionario è l’unico realista”. E forse solo il sogno, così permeato da suggestioni notturne e dai misteri dell’anima, può offrire ciò che il giorno non sa dare.




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