Passa ai contenuti principali

Il Covid e gli eccessi della movida

La protagonista della prima estate post Covid è la “movida” giovanile: esuberante, trasgressiva, spesso selvaggia e violenta. Il perché degli eccessi

(Angelo Perrone) Il paese prova a liberarsi dal peso sociale e morale del Covid. Ma la protagonista assoluta della prima estate dopo il confinamento, è lei, la movida giovanile. Appariscente e disturbante. Invade locali, piazze, strade; diventa rumorosa, selvaggia, persino violenta. Si assiste ad un eccesso di esuberanza e sfrontatezza che sfocia spesso in atti di violenza.
I luoghi di ritrovo sono presi d’assalto e fiumi di giovani si riversano fuori casa, nonostante gli obblighi di distanziamento. Basta poco perché la serata degeneri. Confusione, risse, aggressioni, scaramucce contro la polizia che fatica a riportare la calma.
Non è solo questione di cattiva educazione e chiasso: schiamazzi sui sagrati delle chiese, bisogni fisiologici vicino ai portoni, lanci di oggetti contro le finestre di chi protesta. C’è anche questa, la baldoria eccessiva che disturba i residenti, ma soprattutto il problema è la violenza così diffusa.
Sembra che ogni pretesto sia buono per scaldare gli animi, e quando proprio non c’è, lo si va a cercare. Qualcosa per menare le mani. Non importa contro chi, e perché. E’ una violenza senza obiettivi, e priva di scopi, quella che caratterizza certe notti d’estate. Sempre banali i motivi: l’alcol, i litigi sciocchi.
Il divertimento degenera, e sono inutili le contromisure, come le limitazioni orarie nella vendita degli alcolici e la presenza intensificata delle forze dell’ordine. Non fanno presa le esortazioni a ricordare il pericolo rimasto tra noi, gli inviti a tenere comportamenti civili.
E’ come se ci fosse una spinta irrefrenabile a trasgredire. Il timore di prima di colpo è sostituito da un’audacia insensata. Emerge il desiderio di superare i limiti, eccedere nello sballo, complici la notte e i fumi dell’alcol, sino allo sfogo violento. Impossibile non collegare questo fenomeno al trauma collettivo vissuto con il confinamento in casa, se non altro per ragioni temporali. L’uno si manifesta subito dopo l’altro certo, ma c’è anche un rapporto di causa ed effetto?
Quanti, interrogandosi sul ritorno alla normalità, scommetteva su previsioni ottimistiche hanno motivo di preoccuparsi: cosa accade ai giovani? Qual è il significato di certe azioni? Le degenerazioni, che per fortuna coinvolgono solo una parte, sono un messaggio lanciato alla società tutta.
Ci eravamo forse illusi che, negli strani mesi alle spalle, non ci fossero solo paure e incognite, ma anche squarci di luce, novità positive: la riscoperta dei sentimenti, la cura degli interessi essenziali, la vitalità dell’esistenza una volta filtrate le cose inutili.
Poteva sembrare che il tormento, più diffuso tra le nuove generazioni, fosse entrato in modalità pausa. La prova di coesione e solidarietà alla quale controvoglia siamo stati sottoposti aveva coinvolto anche loro, i giovani, di solito inquieti e insoddisfatti. Sono apparsi convinti anche loro della necessità di seguire le regole in nome di un interesse più generale. Vedendoli suonare le canzoni sui balconi, sentendo la loro voce nel web, erano sembrati preoccupati certo riguardo al futuro, ma insolitamente sereni, convinti di potercela fare, una volta finita l’emergenza.
Il fuoco però covava e le prime tracce sono riemerse appena si è aperta la fase 2, ed è stato possibile uscire di casa. Il mondo giovanile era probabilmente il più esposto alla tensione, perché proprio per esso la limitazione della libertà ha rappresentato un sacrificio più intenso. Troppo frettoloso il passaggio dalla normalità di prima alla condizione di reclusi per assimilare il nuovo. E’ stato difficile per gli adulti, figuriamoci per i giovani.
La trasgressione fine a sé stessa, esacerbata, debordante, sembra a prima vista la conseguenza immediata della fatica vissuta, la reazione regressiva all’isolamento. Un effetto forse della mancata elaborazione del sacrificio, come se fosse stato tollerato ma non accettato sino in fondo.
Ma forse occorre anche andare più in là, oltre questa lettura. Scorgere il messaggio più profondo che questi comportamenti trasmettono, a prescindere dalla connessione con i tempi. La società intera sperimenta ogni giorno un vuoto di senso, una mancanza così lacerante da impedire di guardare al futuro con ragionevole serenità. E’ forse questa la condizione più propria di tanti giovani. Come del resto di tanti adulti.
Le generazioni più giovani soffrono in modo acuto questa condizione. Il lockdown ha come mostrato il baratro sul quale eravamo affacciati senza esserne consapevoli, distratti e storditi dalle cose di ogni giorno. Il silenzio di quei giorni ha rivelato il vuoto della mancanza di speranza, e il limite di una solitudine senza via di uscita. Non sorprende che tanti, riportati bruscamente alla realtà, abbiano reagito oltre misura. Le talpe, autorizzate ad uscire dal cunicolo e a rivedere la luce, si sono subito scatenate.
Le manifestazioni violente alla fine rimandano una sensazione di fallimento: se sono intrinsecamente prive di logica, non più sensato deve apparire il mondo che si va delineando sulle ceneri delle vecchie promesse, le ideologie e filosofie del secolo scorso.
Serve d’urgenza qualcosa che possa dare una mano a quei giovani, venendo incontro a tutta la società, anch’essa in cerca di un orizzonte di senso.
A lenire la paura che accompagna il futuro, potrebbero tornare utili antiche qualità, come l’intelligenza che indica il percorso e, da ultimo, aiuta a comprendere l’infinito. Oppure l’etica, che insegna il potere liberatorio, non solo sacrificale, del dovere. E, perché no?, l’arte, che rende lievi le fatiche regalando il fascino della bellezza. Chissà se basteranno questi rimedi o se occorrerà anche altro, qualcosa che ora sfugge e che magari non è neppure lontano.
Dov’è finita per esempio la realtà, fatta di carne e di sentimenti, spesso dimenticata a vantaggio dell’apparenza, suggestiva e così simile al non-esistente? Quei frammenti di umanità, che pure durante i mesi trascorsi era sembrato a molti di recuperare, da che erano smarriti?
Lo sguardo di un parente, la parola di un amico, il gesto sconosciuto che sapeva di fraternità; perfino il dolore, che prima, sterilizzato dalle giornate qualsiasi, aveva un senso diverso. Tutto ciò che, in fondo, insieme alla paura e all’incertezza, sperimentate sino all’estremo, ha fatto ritrovare il tempo perduto, dando alla libertà sacrificata il senso – rigenerante – di un gesto di solidarietà.

Commenti

Post popolari in questo blog

Il braccio della morte e l'amore tossico: storie parallele di redenzione

(Introduzione a Daniela Barone). La pena capitale interroga la morale di ogni società, ponendo domande cruciali sulla sacralità della vita e sul valore della riabilitazione. Ma cosa succede quando il "braccio della morte" si manifesta anche fuori dalle sbarre, negli affetti tossici e nel controllo psicologico? Questa è la storia intensa dell'epistolario tra Daniela Barone e Richie Rossi, un carcerato americano in attesa della sentenza capitale, che intreccia la riflessione sulla pena di morte con una personale battaglia per la libertà. Un racconto toccante sulla dignità, la speranza e la redenzione. Segue:  a.p.  COMMENTO. 1. Rifiuto etico e sacralità della vita (Daniela Barone - TESTIMONIANZA) ▪️ Non so se fu il film “ Dead Man Walking ” o il libro “ La mia vita nel braccio della morte ” di Richie Rossi a farmi riflettere sul tema della pena capitale; tendo a pensare che le vicende del carcerato americano abbiano determinato il mio rifiuto di una pratica che ritengo crud...

⏳ Natale e la tirannia del presente: riscoprire l’attesa

(Introduzione ad a.p.). Abbiamo perso il senso del tempo, limitato al presente precario e fugace: occorre riscoprire il valore dell’attesa e della speranza, che hanno un significato religioso ma anche profondamente laico. L’iperconnessione e la continua ricerca di stimoli ci hanno reso schiavi di una visione frammentata, incapace di guardare oltre l'orizzonte immediato. Il Natale, con la sua simbologia, ci offre un antidoto a questa tirannia. • La corruzione del tempo (a.p.) ▪️ Quanti di noi, ogni momento, sono intenti a guardare il proprio cellulare? Immersi nella connessione perenne, con tutti e tutto, e dunque con niente? C’è l’ingordigia di cogliere qualsiasi aspetto della vita corrente, nell’illusione di viverla più intensamente che in ogni altro modo. Un’abbuffata di notizie, video, contatti con chiunque, senza sensi di colpa per questo sperdimento continuo del nostro esistere. Questo è il sintomo di una società dominata dalla "paura di restare fuori" e dalla ricerc...

📱 Dipendenza da notifiche e paura di restare fuori: perdersi qualcosa è una gioia

(Introduzione ad a.p.). L’iperconnessione asseconda il bisogno di controllo sulle cose e alimenta l’illusione che tutto, sentimenti e informazioni utili, sia davvero a portata di mano. Ma genera ansia e dipendenza. Questo ciclo vizioso è alimentato dalla chimica del nostro stesso cervello. Perché non pensare ad una "disconnessione felice" scoprendo il gusto di una maggiore libertà e della gioia di perdersi qualcosa?

⛵ In balia delle onde, trovare rotta ed equilibrio nel mare della vita

(a.p. – Introduzione a Cristina Podestà) ▪️ La vita è uno “stare in barca”, dipende da noi trovare la rotta e l’equilibrio. E un po’ di serenità: come quando galleggiavamo in un’altra acqua. Nel ventre materno (Cristina Podestà - TESTO) ▪️La metafora del mare e della barca è piuttosto diffusa nella letteratura, a cominciare da Dante in tutte e tre le cantiche e relativamente a variegate sfumature dell'essere: Caronte, l'angelo nocchiero, il secondo canto del Paradiso; non sono che esempi di una molteplice trattazione del tema del mare e della navigazione. Joseph Conrad dice una frase molto suggestiva, che riprende proprio la similitudine della vita: "La nave dormiva, il mare si stendeva lontano, immenso e caliginoso, come l'immagine della vita, con la superficie scintillante e le profondità senza luce". Spesso è proprio cosi: la superficie è bella, solare, scintillante appunto ma, se si va sotto e si guarda bene, c'è il buio più profondo! La barca di Dante...

🎵 Baby Gang e responsabilità: quando sceglievamo l’ultimo LP di Battiato

(Introduzione a Maria Cristina Capitoni). Di fronte agli episodi di cronaca che vedono protagonisti i giovani e le cosiddette "baby gang", la tendenza comune è cercare colpevoli esterni: la scuola, la famiglia, la noia. Ma è davvero solo una questione di mancati insegnamenti? In questo commento, l'autrice ci riporta alla realtà cruda degli anni '80, dimostrando che anche in contesti difficili, tra degrado e tentazioni, esiste sempre uno spazio sacro e inviolabile: quello della scelta individuale. Le inclinazioni dei giovani: gli insegnanti e le scelte dei ragazzi (Maria Cristina Capitoni) ▪️ La criminalità tra i giovani? Ovvero baby gang? Non è solo un problema di insegnamenti. Non c'è bisogno che un professore ti insegni che dar fuoco ad un barbone, massacrare di botte un tuo coetaneo non è cosa buona e giusta. Spesso poi questi "ragazzi" provengono da situazioni agiate, tanto che dichiarano di aver agito per noia. La mia giovinezza, erano gli anni ‘8...