lunedì 15 gennaio 2018

In balia delle onde

La vita è uno “stare in barca”, dipende da noi trovare la rotta e l’equilibrio. E un po’ di serenità: come quando galleggiavamo in un’altra acqua. Nel ventre materno

di Cristina Podestà 
(Commento a In barca, PL, 12/1/18)

La metafora del mare e della barca è piuttosto diffusa nella letteratura, a cominciare da Dante in tutte e tre le cantiche e relativamente a variegate sfumature dell'essere: Caronte, l'angelo nocchiero, il secondo canto del Paradiso; non sono che esempi di una molteplice trattazione del tema del mare e della navigazione.
Joseph Conrad dice una frase molto suggestiva, che riprende proprio la similitudine della vita: "La nave dormiva, il mare si stendeva lontano, immenso e caliginoso, come l'immagine della vita, con la superficie scintillante e le profondità senza luce". Spesso è proprio cosi: la superficie è bella, solare, scintillante appunto ma, se si va sotto e si guarda bene, c'è il buio più profondo! 
Vivere è come stare su di una barca, in balia delle onde: si ammira tanta bellezza, si sperimentano sensazioni fantastiche ma si sa che tutto è effimero, e sulla imbarcazione ci sono esseri umani che trasportano in sé un intollerabile carico di sogni, speranze, rimpianti o paure. La nave galleggia sulle onde increspate, accarezzata da esse, e va. Va tra nuvole e cielo, tra una distesa di acqua e un temporale, ignara del futuro come le genti che viaggiano ogni giorno nel mare della propria sconosciuta esistenza, speranzose alcune, più turbate altre. 
Se qualcuno riesce a concentrarsi solo sul battito dell'onda e si lascia andare al rollio, si fa cullare come un bimbo nelle braccia materne, allora può aspirare ad una condizione di serenità e accettazione delle incertezze; ma vi è, pure, chi non riesce a rilassarsi e lo sciacquio è solo foriero di ansie. Eppure noi veniamo concepiti nell'acqua e dall'acqua dipende la nostra sopravvivenza. Dunque essa è la nostra prima madre e il suo rumore, il suo soffio, dovrebbe assolutamente rassicurarci. 

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