giovedì 15 settembre 2022

Italia, una democrazia eccentrica

La modernizzazione bloccata: manca la competizione tra forze alternative

Recensione a: Giovanni Orsina, Una democrazia eccentrica. Partitocrazia, antifascismo, antipolitica, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2022


(Angelo Perrone) Che cosa sta succedendo nel profondo della società italiana? Attraversata da pulsioni individualistiche, fa fatica a riconoscere le ragioni dello stare insieme, a trovare il modo di riformare il sistema, soprattutto a migliorare la democrazia parlamentare. La delegittimazione diffusa del sistema politico rende difficile affrontare una discussione. È difficile risalire la china dello scetticismo.
Non ha successo discorrere della mancanza di “buona politica”, troppo vasta l’area della sfiducia. Il “malato” è il nostro Paese alle prese con il governo di sé stesso. Lo si è visto di fronte nelle emergenze della pandemia e dell’invasione dell’Ucraina. 
La malattia è ugualmente nota: disfunzioni strutturali, disaffezione popolare, inefficacia delle soluzioni. Il dibattito però è fermo. Manca una visione generale, e disinteressata. Tanto meno c’è chiarezza sui rimedi, si oscilla, e nessuna ipotesi ha il credito per motivare il recupero di credibilità.  Non si sa bene in quale direzione valga la pena procedere. 
A diradare la foschia, ci prova lo storico e politologo Giovanni Orsina, Direttore della Luiss School of Government, con Una democrazia eccentrica. Partitocrazia, antifascismo, antipolitica (Rubbettino 2022), che indica una chiave di lettura.
Lo sforzo è quello di ripercorrere il tratto più recente della storia italiana, permeato da spinte populiste e antisistema dopo la crisi della prima Repubblica in conseguenza di “Tangentopoli” e “Mani pulite”. Senza tuttavia trascurare le connessioni con il periodo precedente, che si caratterizzò per il processo post bellico di modernizzazione del paese e la crescita industriale piena di speranze.
C’è però un filo rosso che, nella contraddittorietà degli eventi, lega gli anni del dopo guerra all’attualità, partendo dalla ricostruzione del paese e giungendo all’odierno immobilismo istituzionale. E ciò, nonostante le meritorie sollecitazioni politiche che non sono mancate, si pensi alla “questione morale”, sollevata da Berlinguer, e ai progetti di “grande riforma” perseguiti da Craxi.
Tuttavia le stragi mafiose e la scomparsa di figure come Falcone e Borsellino integrarono un attacco allo Stato, determinarono un oggettivo rallentamento nel contrasto alla corruzione politica.
Con un approccio così ricco di spunti, risulta alla fine impossibile inquadrare il caso Italia fuori dalle dinamiche del mondo occidentale. Da qui nasce la suggestiva idea che attraversa il saggio: la collocazione “eccentrica” del nostro Paese all’interno delle vicende che hanno interessato l’Occidente, ma anche la politica mondiale e gli equilibri tra le grandi potenze.
L’eccentricità dunque intesa come posizionamento “marginale” sul piano territoriale o degli eventi storici, soprattutto come collocazione “divergente” rispetto alle coordinate della democrazia liberale, per come essa si è strutturata nel nord Europa e nell’America settentrionale. 
Il nodo del rapporto con la modernità, europea e occidentale, è dunque centrale, e se ne vedono le conseguenze nella politica odierna. Domina il sentimento di incompiutezza verso la propria storia – persino la percezione di un Paese “sbagliato” che alimenta l’ostilità nei confronti del “politico”.
Al paradigma di un Paese che non viaggia nel senso giusto si reagisce con la tentazione di additare vie alternative, scovando improbabili lati positivi in Stati autocratici che sembrano offrire un’immagine più vigorosa delle malmesse democrazie. Si spiega così il fascino esercitato da paesi come l’Ungheria di Orban o in passato dalla Russia di Putin.
La storia italiana rischia di essere un elenco di occasioni mancate: il Paese non ha saputo coltivare il progetto di colmare la distanza con le democrazie più progredite, anzi si è compiaciuto di alimentare il discredito della politica, non comprendendo che così stava tagliando il ramo sul quale era seduto.
La storia mostra come sia fallace l’idea di poter fare a meno della politica, meglio della buona politica. Se il senso di inadeguatezza verso la modernità costituisce un riflesso antropologico di antica origine, potrebbe essere arrivato il momento di riconoscere che a rendere così disfunzionale la politica è l’assenza di meccanismi reali di competizione e di ricambio della classe politica.

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