martedì 4 giugno 2024

Per qualche voto in più

La scelta dei candidati alle elezioni europee


(Angelo Perrone) In un’epoca troppo fluida sui valori fondanti della Repubblica, resiste costante una tendenza di fondo, la scelta di candidati-bandiera, utili per attrarre consensi. Ve n’è una riprova esemplare per le prossime elezioni europee dell’8-9 giugno.
C’è una gara a trovare il nome che risalta. Con parole eclatanti qualcuno su cui fare presa ci può sempre essere. Stupire, sparigliare le carte, ecco la missione. Per qualche voto in più. La distanza tra politica e società civile andrebbe contrastata in altro modo.
I nomi dei prescelti lasciano spesso perplessi. Le peculiarità della scadenza elettorale sono trascurate: un consesso internazionale presuppone requisiti diversi dal Parlamento nazionale o da qualsiasi Consiglio comunale. Non si è adatti e preparati a tutto. 
L’Italia rappresenta un caso particolare in Europa quanto a partecipazione dei leader di partito. A memoria non si ricorda che nel continente si candidino né i premier dei singoli paesi, né i leader di opposizione. Invece Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Elly Schlein sono capolista, pur dichiarando che non andranno a Bruxelles. Romano Prodi, inascoltato, ha osservato: «La candidatura dei leader in Ue è una ferita alla democrazia».
Sono aspetti che incidono sulla rappresentanza politica (legame trasparente cittadini-eletti), e sulla qualità del mandato parlamentare. Qual è il senso di un voto per candidati che non andranno mai in quel consesso per il quale si sono presentati? Quale contributo efficace e competente gli eletti potranno dare senza un’adeguata selezione?
Sono perplessità che in generale si collocano in una cornice sconfortante. I cittadini, per certe leggi elettorali interne, hanno in genere scarso o nessun potere. Ma si abusa anche dell’idea che ad essi non interessi granché l’amministrazione della cosa pubblica.
Le candidature sono decise dall’alto. Difficile scorgere ragioni ideali. Il decisionismo partitico è altre volte occultato dietro il feticcio manipolatorio della democrazia diretta. Appena venti mila iscritti, nel Movimento 5Stelle di Giuseppe Conte, possono ratificano decisioni in realtà già prese.
La questione delle personalità da scegliere nella politica sembra più importante dalla trattazione dei temi concreti.  Come se sanità, lavoro, scuola, ambiente non fossero determinanti, e come se il futuro dell’Europa non riguardasse tutti e ciascuno di noi, proprio nella specificità della vita quotidiana. Si esaurisce lo sforzo nella scelta delle persone, senza dire cosa faranno poi con il nostro voto quando saranno a Strasburgo, sede appunto del Parlamento dell’Unione.
Mettere insieme le persone, le idee, trovare sintesi efficaci e compromessi possibili non è mai stato facile, ma c’è un limite.
I simboli elettorali per le Europee offrono, nell’abbondanza di elementi grafici e di citazioni personali, una rappresentazione paradossale di ciò che manca alla politica. I loghi sono sovrapposizioni di nomi e concetti guida, sommatorie incomprensibili nello spazio di tre centimetri per tre. 
Questi simboli ridondanti sono metafora dell’assenza di un’identità chiara, dell’incapacità di parlare al cittadino in modo semplice ed efficace. Il disperato tentativo di trovare finalità comuni in parti sparse e contraddittorie della società. È vano però pensare che tanti frammenti eterogenei possano comporre l’unità.
Le scelte elettorali dei candidati investono il rapporto tra politica e società civile, sono una cosa seria quando si lamenta la distanza tra classe dirigente e mondo reale. Eppure la conquista di voti sembra sopravanzare ogni considerazione di opportunità, misura, proporzione. 
Anche quando le scelte riguardano persone degne, e sollevano questioni condivisibili, c’è un meccanismo non esattamente virtuoso.
È il caso di Cecilia Strada (una storia in Emergency) e Lucia Annunziata (giornalismo altamente qualificato) che si presentano per il Pd. Sono indicate anche come capolista, ma hanno precisato di essere “indipendenti”, non si iscriveranno. La leadership della lista, diciamo la rappresentanza del partito nell’occasione, è affidata a elementi esterni, che prendono le distanze dalla lista per cui si presentano.
Lo si percepisce pure nella candidatura di Ilaria Salis per Verdi-SI. Non che non meriti sdegno e solidarietà quanto le è accaduto, però si tratta di candidature che hanno sempre il limite del caso personale, della vicenda che le ha portate alla ribalta.
È sacrosanto ripristinare il rapporto con la società civile guardando ai suoi esponenti, però non va dimenticato il punto. Ormai è stato cancellato ogni meccanismo virtuoso di selezione, inevitabilmente graduale. Si tratta del processo che seleziona i migliori.
Non dovremmo, neppure in queste cose, provare nostalgia per un’epoca d’oro mai esistita. Non vi è dubbio però che l’esperienza pregressa sia un banco di prova. Vi è necessità di preparazione specifica; nel caso delle Europee, conoscenza dell’ordinamento europeo, studio dei meccanismi giuridici, consapevolezza degli obiettivi strategici, pratica delle relazioni internazionali.
Non da ultimo (marginale non lo è) la padronanza delle lingue, spesso lacunosa o mancante in chi ci rappresenta all’estero. Ma è strumento di dialogo diretto, preziosa risorsa nelle relazioni politiche e personali.
La crisi dei partiti, accresciuta dalla diffusione dei movimenti populisti o personali, ha lasciato sul terreno componenti fortemente individualistiche, di vario segno: talora esplicitamente deleterie e dannose, in altri casi potenzialmente preziose ed importanti, ma impiegate in modo sommario.
Le scelte inappropriate segnalano la mancanza di una cultura del merito, da sviluppare insieme ad una efficace strategia di aggregazione civica. Gli elettori, dal canto loro, sono chiamati ad atti di responsabilità: quando ne hanno la possibilità, come in questo caso, dovrebbero tenerne conto.

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