lunedì 20 agosto 2018

Un criminologo a Bilbao

La scoperta di un segreto inconfessabile

Racconto
di Paolo Brondi

Era giunto a Madrid con la sua agendina informatizzata, ben nutrita di numeri telefonici e indirizzi di suoi colleghi criminologi. Fra questi, una sua compagna di studi e quasi coetanea, la dr.ssa Dolores Vida, che rispose subito alla chiamata e gli fornì alcune notizie sulla calle Huertas .
“Caro Giorgio, vedo che non hai cessato di metterti nei guai! Quando avevo 18 anni la calle Huertas era un posto ove si andava a conoscer la gente, a ballare. Era una strada rumorosa, si mischiavano le persone, le macchine, la musica che usciva dai locali, le risa, e l’alcool fino alle 6 di mattina. Adesso le macchine non ci sono perché la via è diventata pedonale e il rumore dei locali non si sente perché sono insonorizzati, ma continuano risa e rumori, gente e alcool. I locali rimangono aperti fino alle 3 o 4 del mattino. Le persone continuano per la strada e questa via comincia vicino alla piazza di Nettuno, bellissima, e finisce vicino alla piazza di Santa Anna, tutta questa zona è piena di persone alla ricerca del piacere, di ridere, della diversione, ove si mescolano spagnoli con stranieri; è una zona veramente eterogenea e non raccomandabile”.
Facendo tesoro dei suggerimenti della collega, si recò in calle Las Huertas e, con voluta prudenza, evitò i vari aggruppamenti di persone, festanti nei modi più vari, rifugiandosi, durante le ore del giorno, nella casa-museo di Miguel de Cervantes, autore del Don Quijote de la Mancha e solo alla sera entrò nel Club La Lupe. Fu subito avvolto da un’atmosfera di piacevole benessere: decorazione stupenda, musica che si diffondeva flautata e di cui riuscì a riconoscere le canzoni “easy lady/real girl/don’t call mi no mo/ Forever”. Belle fanciulle si muovevano flessuose fra il bar e le morbide poltrone, spargendo intorno segni inequivocabili di languide promesse. Stava rispondendo, senza parole, ad una occhiata più maliziosa, quando fu avvicinato da un giovane torvo nel viso e rapido nell’afferrargli con forza il braccio destro: “Mi segua, senza fare storie. Lei sta cercando Alberto. La condurrò da lui !”
All’esterno li attendeva un altro individuo, analogo al primo per rudezza di modi e oscurità d’espressione: stretto fra i due, fu guidato abilmente tra la folla fino alla piazza S. Anna. Qui era in sosta un’automobile. Fu fatto salire e appena seduto fu narcotizzato.
Quando l’effetto del narcotico scemò, si trovò seduto in una stanzetta con una finestra sul mare, un letto, una scrivania, una sedia. Guardando il suo orologio scoprì che avevano viaggiato per poco più di 4 ore ed ascoltando la lingua usata, mentre uno dei due parlava al telefono dicendo: “Egun on” (buongiorno) “hiru Kafe hutsa nahi nuke” (vorrei tre caffè espresso), capì di essere stato portato in una provincia basca. Gli ordinarono di riposare e di stare quieto. Il letto era morbido e, ancora un poco stordito, per la sostanza che aveva respirato, si addormentò.
Al risveglio, intorno alle ore 8, fu condotto in un’altra stanza, anche questa con vista sul mare, dove, a un tavolo circolare, era seduto un uomo: indossava pantaloni di velluto, un maglione di lana, a grandi trecce, di colore blu scuro e con capelli neri e folti, mescolati a una barba non rasa che gli nascondeva gran parte del viso. “Venga, dr. Pasquali, si sieda qui, con me, faccia colazione. Lei è famoso. La notizia delle sue inchieste e dei suoi successi è giunta fin in questo paese. E ora sta cercando me. Io sono Alberto, Alberto Bianchi. Lei dovrà dimenticarsi di questo luogo, di avermi visto. Me lo giuri!”
Giorgio non era abituato a giurare su contenuti ignoti, quindi ne chiese le ragioni.
In risposta ebbe questa spiegazione: “Come mi ha insegnato mio padre ho sempre cercato di affermare la mia volontà e di scegliere le azioni che mi permettessero di raggiungere il massimo dell’intensità e dell’efficienza. A poco a poco ho individuato quella verità nascosta nell’opinione più intima di una parte della società, di quella parte che è la più progressiva e la più sensibile alle esigenze del proprio tempo. Ha mai visto, dottor Pasquali, i castelli della Vecchia Castiglia? Sono un documento non solo delle istituzioni medioevali, ma orientano sul segreto della vita e sugli oscuri aspetti del passato. La storia non è stata benevola con la Spagna”.
E ancora: “Lei certamente conoscerà il filosofo José Ortega y Gasset. Durante i lunghi mesi di direzione della mia industria, ho letto molti dei suoi libri e soprattutto quello che ha per titolo “España invertebrata”, ove traccia con chiarezza lo stato della circostanza spagnola e i limiti e difetti di questo paese. Ho studiato e approfondito la sua filosofia che non mira alla costruzione di teorie generali e astratte, ma tende semmai alla soluzione di problemi concreti, legati a particolari soluzioni di spazio e di tempo ed ho organizzato anche convegni e seminari che ne illustrassero i contenuti. Sono riuscito a coinvolgere intellettuali, tecnici, commercianti, industriali, avvocati, perfino magistrati con il fine, indicato da Ortega, di studiare la realtà concreta del paese, per proporre soluzioni efficaci ai problemi più urgenti e per sciogliere i pericoli che lo minacciano. Per questo, quando, nella seconda metà degli anni novanta, l’ETA lanciò una violenta campagna terroristica che colpì giornalisti, magistrati, intellettuali, imprenditori, cioè tutti quelli che erano ritenuti di ostacolo all’affermazione di un disegno indipendentista, il mio gruppo fu preservato ed io fui chiamato a far parte dell’ETA come consigliere e finanziatore esterno. Grazie al mio aiuto, ai miei soldi, l’Eta, nel 1998, con il patto di Lizarra proclamò la tregua e nello stesso anno, con la lista Euskal Herritarrok (“Noi baschi”) capeggiata da Herri Batasuna, nelle elezioni regionali, ottenne un significativo successo elettorale. Poi Batasuna ha fondato il partito che porta il suo stesso nome. Tuttavia in questo stesso anno, il 2002, per opera del premier spagnolo Josè Maria Aznar, Batasuna, accusato di appoggiare le azioni terroristiche dell’ETA, è stato messo al bando. Così l’ala del movimento nazionalista basco, rimasta priva di un referente politico, ha più che mai bisogno di una guida, un sostegno economico, un orientamento. Io mi sono proposto come quella guida! Ecco in breve il motivo per cui lei deve tenere il segreto su di me e la mia storia”.
Giorgio, rimasto silenziosamente in ascolto del lungo monologo di Alberto, colpito dalle certezze, sicuramente esaltanti ed esaltate, dell’uomo, stava per iniziare un discorso critico, quando questi si alzò, salutò e rapidamente sparì.
I due uomini che lo avevano scortato fin lì si portarono silenziosamente alle sue spalle per procedere alla nuova narcotizzazione. Non sapevano che Giorgio era anche cintura nera di karatè e di scatto, con colpi facili per lui, ma imprevisti per i due, li atterrò. Si guardò intorno, tese l’orecchio: nella casa tutto era in silenzio. Uscì all’aperto. Scoprì di essere stato portato a Getxo, un paesino sul mare, non lontano da Bilbao.
Trovò un taxi libero e si fece portare all’aeroporto di Bilbao. Fu fortunato perché nel volo dell’air France delle ore 10,30 si era liberato un posto. S'imbarcò e alle ore 12,10 raggiunse l’aeroporto di Charles de Gaulle, a Parigi. Utilizzando di nuovo un taxi preso al volo, si fece portare sulla riva della Senna, non lontano dai Champs Elysées. Stanco e assonnato, trovò ospitalità presso l’Hotel Eiffel Seine. La stanza era spaziosa, fresca e la finestra offriva lo spettacolo del placido scorrere della Senna e dello scivolare dei barconi colmi di turisti. Ordinò in camera un paio di croissant, un bicchiere di latte e poi si addormentò.

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