martedì 14 ottobre 2025

Mi scusi signora Giulia, lettera ad un'ex dipendente

di Marina Zinzani

(Lettera immaginaria, accorata e tardiva, di scuse da parte di un ex direttore a una sua ex dipendente, licenziata per motivi di riduzione dei costi. Testo partecipante al Festival delle Lettere di Milano 2025 nella sezione “Lettera a una donna – CGIL”)

Gentile signora Giulia,                                  provo a scriverle questa lettera, un po’ per rimediare a qualcosa che ho fatto, mio malgrado, un po’ perché con l’andare del tempo, degli anni, le cose si comprendono meglio.
Ricordo quella mattina, era lunedì, ed io avevo passato tutto il week-end cercando le parole giuste, quelle che avrei usato per lei e per altre due sue colleghe. Ricordo che la convocai nel mio ufficio, e lei arrivò, sorridente e timorosa, con quella certa ansia che si prova quando si viene convocati da un superiore. Quello che ero io in quel momento. 
Ricordo il colore della sua giacca, era bordeaux, aveva sotto una maglia a righe e portava i jeans. Aveva anche i capelli ondulati, raccolti con un elastico. La sua età, 34 anni, non la dimostrava, e sapevo, vedevo, che il suo carattere era solare, incline alla mitezza, a creare un ambiente sereno sul luogo di lavoro. Era generosa quando c’era da aiutare una collega in difficoltà. Era disponibile agli straordinari, a lavorare anche il sabato, avvertita di questo solo il venerdì pomeriggio.
Eppure queste qualità, oltre ad essere un’impiegata precisa, puntuale, affidabile, non le sono servite a mantenere il posto di lavoro. Neanche se lei era separata, con un affitto da pagare e un figlio in tenera età. Perché così avevano deciso i vertici, quelli che sono altrove, che guardano i numeri di un bilancio e soprattutto la voce “Costi del personale”. Quella è sempre troppo alta per loro. Il lavoro di due si può fare solo con una persona e mezza, un tempo pieno e un part-time.
Già meglio di quello che si è deciso dopo, con il tempo: il lavoro di due persone lo può fare solo una persona. Diventerà più veloce, se vuole tenersi l’impiego. Farà straordinari non pagati, se non ce la fa. Verrà a lavorare anche mezza influenzata, e se ha figli ammalati li lascerà a qualcuno. Non è un problema nostro. Prendere o lasciare. Così si ha un utile, e il lavoro costa troppo in Italia, in certi Paesi costa infinitamente meno.
Ecco, signora Giulia, io avevo ricevuto un ordine dai miei superiori. Tagliare. Tagliare il più possibile, ben tre dipendenti. Eravate in cinque in quell’ufficio. Dovevo tenere le due impiegate assunte da poco che costavano meno e licenziarne tre, e lei era fra queste. Solo che lei era la più debole, le altre avevano mariti che lavoravano, lei era sola con suo figlio, in affitto. 
La cosa mi preoccupava, era una situazione ingiusta, mi faceva male fare la parte di chi convoca una brava impiegata per dirle “Dobbiamo licenziarla”, e in effetti io provai a dire con il mio superiore che lei era in una situazione difficile a livello famigliare e che era brava, aveva grande esperienza e si poteva proporle almeno un part-time. 
Il mio superiore sorrise. Si può sorridere anche condannando uno a morte, anche manifestando un totale, disumano disinteresse per la condizione di un lavoratore. Ricordo che lui mi disse: “Ci sono cinque addetti in ufficio, devono rimanere i due meno costosi. Non si discute.”
Addetti e non persone. Non persone con le loro storie, i loro problemi, la loro vita in costruzione o che procede in modo anche fragile. 
Quando io, con imbarazzo, con la voce incerta, le dissi che c’erano purtroppo dei cambiamenti in azienda, e i miei superiori volevano ridurre i costi, lei sbiancò. Quando entrai più nel merito, lei si propose per un part-time, ma io scossi la testa. “Purtroppo la direzione ha deciso...” dissi timidamente.
Gli occhi le si inumidirono. Sembrava che quegli occhi ripercorressero una strada, quasi come un film, una situazione che sarebbe accaduta da lì a venire: senza lavoro, senza introiti dopo la Naspi, senza sapere come pagare un affitto. Lei si alzò, le mani le tremavano, era di un pallore spettrale e temetti un suo malore. “Mi dispiace”, le dissi, e lei uscì. 
Sono passati pochi anni da allora. Un giorno un superiore mi ha chiamato in ufficio ed ha fatto lo stesso discorso con me. Riduzione del personale. Anch’io licenziato. Solo che per me è stato diverso, ho trovato dopo mesi un altro lavoro, anche se lo stipendio è molto inferiore, e mia moglie comunque ha un impiego.
Volevo dirle che avrei dovuto fare di più, impuntarmi con i capi, mostrare che il suo lavoro non era paragonabile a quello delle due nuove assunte, almeno insistere di più sul part-time. Ma non l’ho fatto. Si sta in silenzio, alla fine, per tenersi il lavoro. 
Non ho saputo più nulla di lei. Eravamo tutti sulla stessa barca ed avevamo paura. Mi scusi.
                                                                                                    Il suo ex direttore


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