venerdì 21 agosto 2015

Sui passi di Jean Paul Sartre

di Paolo Brondi

Ci sono tempi vicende e giorni in cui il sentire si allinea con la nausea di Sartre (J.P.Sartre, La Nausea, Einaudi, 1978) e, in particolare, con il pensiero-meditazione del protagonista, Antonio Roquentin, che così si esprime: "Quando si vive non accade nulla. Le scene cambiano, le persone entrano ed escono, ecco tutto". Proseguendo la lettura s'incontra l'amaro resoconto di esperienze comuni: "I giorni si aggiungono ai giorni, senza capo né coda, è un'addizione interminabile e monotona... non c'è mai un inizio".
E' il tragico paradosso del vivere una quotidianità senza metamorfosi, senza quello sguardo che si sofferma, con una luce nuova, su cose e persone, donando loro una forma che possa generare ancora meraviglia e stupore. Se si è poveri di questa strategia di lettura del reale si ricade nell'ulteriore paradosso sartriano perché “. Nemmeno vi è una fine, non si lascia mai una donna, un amico, una città tutto in una volta". Viviamo tra Scilla e Cariddi, inizio e fine sono lampi di cui la percezione non riesce a trattener nulla perché incessante è la sfilata delle ore e dei giorni "Lunedì, martedì, mercoledì. Aprile, maggio, giugno". Eppure il rimedio a questo tipo di vita va trovato. Lo suggerisce lo stesso Sartre scrivendo: "Vivere è questo. Ma quando si racconta la vita tutto cambia". Si può raccogliere tale ipotesi sia come narratori che comuni mortali visto che può essere vero che, quando si racconta, gli eventi vengono padroneggiati e non c'è un inizio o una fine che dilegua, ma la fine può coincidere con l'inizio e viceversa ed è questa la legge dell'avventura creata. E, tuttavia, la vita reale non è un'avventura né sempre oggetto di racconto, dunque il paradossale riemerge sempre, destando nostalgici commenti: "Avrei voluto che i momenti della mia vita si susseguissero e s'ordinassero come quelli di una vita che si rievoca. Sarebbe come tentare d'acchiappare il tempo per la coda".

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