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venerdì 6 ottobre 2017

Miseria e nobiltà

L’uso del dialetto nella società italiana,  tra istinto espressivo e creatività linguistica

di Paolo Brondi

Cultura italiana e uso del dialetto. Si deve a Benedetto Croce la distinzione fra dialetto spontaneo e dialetto riflesso: da una parte il dialetto è usato senza coscienza, dall'altra è usato per fini particolari pur avendo ben presente la lingua letteraria. Antonio Gramsci attribuisce al dialetto un duplice limite, quello della emarginazione linguistica e quello della emarginazione sociale, e si batte per l'unificazione linguistica e per l'insegnamento della grammatica.
Il fascismo esaspera il giudizio sui dialetti, predicando che i dialetti denunciano miserie e arretratezze, inconciliabili con le vocazioni imperiali di cui il nazionalismo fascista si faceva bandiera. Pavese, ne Il mestiere di poeta, difende l'uso letterario del dialetto considerando "ogni specie di lingua letteraria come un corpo cristallizzato e morto, in cui soltanto a colpi di trasposizioni, d'innesti dall'uso parlato, tecnico e dialettale si può nuovamente far correre il sangue e vivere la vita" (Lavorare stanca, Einaudi, 1943).
Nel '49, l'anno de La luna e i falò, Pavese pone dialetti e lingua su due registri diversi: "Il dialetto è sottostoria. Bisogna invece correre il rischio e scrivere in lingua, cioè entrare nella storia, cioè elaborare e scegliere un gusto, uno stile, una retorica, un pericolo. Nel dialetto non si sceglie, si è immediati, si parla d'istinto. In lingua si crea".
Non sottostoria ma immediatamente rappresentativo di una realtà sociale estremamente arretrata è il dialetto romanesco di Giuseppe Gioacchino Belli. La plebe romana è l'essenziale protagonista dell'opera belliana e il poeta ne rappresenta ogni piega servendosi della lingua che essa stessa usa: "Esporre le frasi del romano quali dalla bocca del romano escono tuttodì, senza ornamento, senza alterazione veruna, senza pure invenzioni di sintassi o troncamenti di licenza, eccetto quelli che il parlator romanesco usi egli stesso; insomma cavar una regola dal caso e una grammatica dall'uso, ecco il mio scopo" (I Sonetti, Mondadori, 1952).
Diverso è il carattere del dialetto quando se ne fa un uso nobile e ufficiale in contesti socioculturali come quello veneziano, napoletano, siciliano, ove le voci dialettali vengono richiamate per raffinar la lingua e a garanzia di indubbia espressività.

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