venerdì 20 ottobre 2017

La festa che non c'è

Lo scandalo Harvey Weinstein è un abuso di potere: tra la vittima e il carnefice, il senso di colpa della donna


(Angelo Perrone) Ora, arriva pure il pentimento di Jane Fonda. Anche lei sapeva ma ha taciuto: «avrei voluto essere più coraggiosa, mi vergogno», ha provato a giustificarsi con franchezza, spiegando di averlo fatto forse perché non la riguardava direttamente. Certo, come ha osservato Meryl Streep prendendone le distanze, non tutti a Hollywood erano a conoscenza di come Harvey Weinstein, il potentissimo produttore cinematografico americano, abusasse del suo potere.
Ma è impensabile il contrario, che nessuno o pochi ne fossero a conoscenza, se per oltre trent’anni inviti attrici in stanze d’albergo, ti fai trovare nudo, e chiedi coccole, massaggi ed altre attenzioni sessuali. Anzi proprio la serialità e la disinvoltura di questi comportamenti (al momento, almeno 40 le attrici che hanno denunciato di essere state molestate) fanno pensare che molti, pur sapendo, abbiamo voltato la faccia dall’altra parte piuttosto che esporsi e denunciare pubblicamente le malefatte. Una omertà diffusa e interessata.
Come per esempio Brad Pritt, che, nonostante fosse stata molestata proprio la sua fidanzata dell’epoca Gwyneth Paltrow, si è limitato solo ad intimare al produttore di lasciarla in pace, senza rendere pubblica la faccenda. E, se non ci fosse stata l’inchiesta esplosiva del New York Times, oggi Weinstein, anziché essere licenziato dalla sua stessa società, lasciato dalla moglie, e allontanato dal mondo cinematografico, tornerebbe tranquillamente a sedersi alla sua solita scrivania.
Uno scandalo che fa tremare la politica americana per i copiosi finanziamenti elargiti dal magnate ad esponenti di ogni colore, e provoca un effetto domino, moltiplicando il numero delle testimonianze di donne vittime di abusi.
Quello di Weinstein non è un incidente isolato, e la molestia non regna solo a Hollywood, ma in ogni paese e in tanti luoghi, negli esercizi commerciali, negli uffici, nelle aziende dove chi riveste posizioni di potere si arroga a volte il diritto di abusarne in vario modo, a cominciare proprio dalle attenzioni sessuali verso le donne.
Sullo sfondo di queste azioni, la minaccia di ritorsioni, mancate promozioni o guadagni, condizionamenti nella vita lavorativa: una vita impossibile per l’attrice famosa come per la sconosciuta impiegata di un ufficio alla periferia della città. Vicende, che spesso rimangono sconosciute perché non denunciate, oppure ottengono un’eco modesta.
Non sembra che vi sia nulla di nuovo e di sorprendente nelle notizie che vengono da Hollywood, eppure sarebbe riduttivo pensare che si tratti solo di un ennesimo e pur enorme scandalo di tipo sessuale con risvolti politici e finanziari.
Le denunce, cresciute numericamente di giorno in giorno, sono una valanga. Casi, episodi, fatti, che hanno inondato le pagine dei giornali. I media però hanno raccolto soprattutto le testimonianze delle donne sull’aspetto più scabroso delle varie situazioni; poco si sa su ciò che ha preceduto l’ingresso in quelle stanze d’albergo, e su quanto accaduto dopo.
Così, quadri sempre più ampi e fitti raccolgono, sui giornali, i volti delle vittime, restringendone via via le dimensioni dato il numero crescente, sfumando l’identità di ciascuna e rendendola indistinta. Storie che si confondono tra loro e si sovrappongono l’una all’altra, apparentemente tanto simili: giovani e belle ragazze, ben truccate, sorridenti e piacevoli, infastidite da un molestatore arrogante e seriale. Simili se non uguali l’una all’altra. Rischiano di essere indecifrabili.
Chi sono in realtà? Come hanno vissuto quell’esperienza? Perché hanno atteso tanto prima di denunciare quei fatti e di ribellarsi? Un gesto catartico e liberatorio? Domande senza risposta. Ricostruiamo la scena: vestiti, gioielli, auto di lusso, ambienti famosi. Loro giovanissime, sorridenti, in cerca di successo: un incontro importante, una parte in un gran film, un contatto con il famoso produttore che potrebbe cambiarne la vita; poi l’invito ad una festa, che non ci sarà. E’ una trappola.
Un mondo inebriante e luccicoso, quello di celluloide, nel quale si può trovare anche l’orco. Dove la giovane ragazza, davanti alle richieste oscene, è chiamata all’improvviso a recitare la parte della donna adulta. Quella di chi sa reagire, ribellarsi alle richieste oscene, allontanare fisicamente il molestatore.
Non sappiamo cosa accada in quel frangente così breve, è tutta una questione di secondi, pochi per decidere. Troppo stretto è il margine tra ciò che deve essere fatto e ciò che succede. Impossibile soprattutto formulare, a freddo, dei giudizi; dire come sarebbe stato giusto comportarsi, cosa scegliere tra la propria dignità e il miraggio di un beneficio nella carriera. Forse persino ingiusto censurare le scelte magari discutibili della vittima quando è così diffuso (e impunito?) il sistema di prevaricazione nei rapporti sociali.
Forse, è impacciata, si sente debole e fragile, anche incapace di fuggire in lacrime da quella scena alla quale non è preparata. In futuro avrebbe studiato a fondo la parte che le fosse stata assegnata, si sarebbe impegnata per riuscire, ma al ruolo che ora le viene richiesto non è preparata e non sa come fare. Una disinvoltura di facciata quella mostrata prima in pubblico, che non corrisponde alla sua giovinezza ed inesperienza.
Chissà se pensa in quel momento al suo sogno, a ciò che vorrebbe ottenere dalla vita e che è forse raggiunto. Raggiunto? Quasi, manca così poco, un piccolissimo tratto di strada, che però ha un prezzo. Un po’ di scaltrezza e di furbizia le permetterebbero di arrivare al traguardo ambito, oppure si tratta solo di accettazione di un rischio inevitabile quando la strada è stretta e accidentata.
Certo c’è differenza tra sesso e prostituzione, tra gentilezza e disponibilità sessuale, tra rettitudine e baratto. Ma a volte si affronta anche una zona d’ombra dove tutto è confuso e così precario, e provoca spavento, impedisce di ragionare: dove trovare la forza per reagire? Quando abbiamo imparato a farlo?
Poi accadono molte cose, il successo arriva oppure no, passano gli anni, e qualche volta la ragazza, ormai meno giovane, si guarda allo specchio sempre ripetendosi quella domanda inquietante «perché non sono fuggita?», sentendosi profondamente stupida e anche colpevole, come ha ammesso Asia Argento, una delle vittime: «il fatto di non averlo respinto fisicamente mi ha fatto sentire responsabile».
Ecco ciò che appare allo specchio, l’immagine di una ragazza che teme di essersi messa da sola in pericolo; il mondo è lì pronto a giudicare lei e le sue scelte, piuttosto che condannare chiaramente ciò che è all’origine di tutto, cioè la prevaricazione sulla libertà delle donne e dei più deboli. La ragazza meno giovane si porta dentro nel tempo quel senso di colpa che non distingue tra vittima e carnefice, che avvicina pericolosamente la prima al secondo, azzerando nella confusione ogni responsabilità.
Difficile vivere così in bilico. Complicato non sentirsi più spaventati, piccoli e confusi: a volte ci vogliono anni prima di riuscirci. E lo facciamo proprio accettando di essere stati così incerti, e magari di aver commesso degli errori, e raccontando come l’ombra, che un giorno abbiamo attraversato, non ci faccia più paura.


* Leggi anche:
Caso Weinstein: le zone d’ombra dell’omertà e dei sensi di colpa, di Angelo Perrone,
La Voce di New York:
http://www.lavocedinewyork.com/news/primo-piano/2017/10/20/caso-weinstein-le-zone-dombra-dellomerta-e-dei-sensi-di-colpa/

1 commento:

  1. ...e la cosa peggiore credo sia esser messa sotto accusa proprio da altre donne che invece di far muro, giudicano e condannano. Io sto con Asia .

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