venerdì 4 marzo 2022

La fine dei despoti

La brutalità della guerra ci fa regredire, verso la disumanità


di Laura Maria Di Forti

Vi ricordate la scena di “2001: Odissea nello spazio”? All’alba dell’uomo gli ominidi coesistono tra loro, si nutrono della stessa vegetazione e si dissetano alla stessa acqua; nonostante gli attacchi di rivali e tigri, essi rimangono uniti.
Con il calare della notte il gruppo di primati è costretto a nascondersi per evitare i pericoli che si celano nell’oscurità ma, al mattino, un monolite appare davanti a loro e i resti lasciati dai predatori la sera precedente non sono più semplici ossa, diventano improvvisamente uno strumento.
Una scimmia prende un osso in mano e, muovendolo senza scopo, colpisce involontariamente le altre ossa. Strano, pensa, c’è un cambiamento, una reazione delle altre ossa. Allora ci riprova, questa volta con più veemenza, forza e… convinzione.
Così l’uomo, trovato un nuovo utilizzo all’osso, diventa padrone del proprio futuro e conscio del suo potere, esulta lanciando in aria un nuovo oggetto. Non più solo un osso, ma un osso che può produrre sconcerto, rumore, disordine certo, caos, scompiglio e perfino disastro. L’osso può diventare un’arma.
L’immagine dell’osso che volteggia in aria viene sapientemente raccordata, dal regista Stanley Kubrik, all’immagine di un’astronave, simbolo della tecnologia.
L’importanza del film sta proprio nella presa di posizione di Kubrick rispetto al rapporto tecnologia e uomo. Il monolite che si vede sin dall’inizio è un simbolo di conoscenza, ma è ciò che ne fa il primate che compromette il futuro dell’uomo.
“Téchne” significa arte nel senso del “saper fare”, ma l’utilizzo dell’osso che ne fa il primate è a scopo distruttivo, cioè uccidere e allora il regista si pone una domanda: la tecnologia è un male o è l’utilizzo che ne fa l’uomo a renderla un possibile pericolo?
(Liberamente tratto dalla tesi di laurea di Raffaella Chiapponi: “Il cinema tra arte e tecnologia”)
La guerra è una scelta dell’uomo grazie alla quale un popolo prevarica su un altro per motivi economici, religiosi o politici. C’è sempre un popolo da liberare da una diversa ideologia politica, una terra da conquistare perché fertile o ricca di giacimenti, e c’è sempre una religione migliore di altre che occorre diffondere. Con la forza, beninteso.
La guerra è in effetti il compimento dell’insensatezza di qualche re, come diceva Trilussa, di qualche despota, che poi è la stessa cosa, in definitiva di qualche pazzo. 
Affiora nelle menti malate degli squilibrati, psicopatici e dissennati che sono riusciti a prendere il potere, nei politici che vogliono condensare solo su stessi il dominio sovrano su tutto e tutti, che si arrogano il diritto di comandare con la forza delle armi.
La guerra non ha senso, porta solo distruzione e, purtroppo, non impara da sé stessa. La Storia dovrebbe insegnarci a comportarci con più saggezza e, forse, questo le masse lo sanno. Ma sono gli uomini esaltati dal comando, dal proprio narcisismo, dall’arroganza prevaricatrice e dallo strapotere di cui si sono insigniti, che non conoscono la bellezza della pace.
Distruggere non è per loro un danno, distruggere è solo un mezzo necessario al fine che si sono prefissati, che altro non è se non dissetare la loro sete di potere.
La guerra è, insomma, la necessità quotidiana di queste genti malate.
Ma io mi domando: come mai oggi è ancora possibile dare tanto potere ad un uomo solo? Come possono intere popolazioni lasciarsi travolgere dalla prepotenza di un despota? 
Filosofi, storici, psicologi, sociologi, persino neuroscienziati non sanno rispondere a questa domanda. Nel corso della storia umana ce ne sono stati tanti di tiranni. E ce ne sono ancora oggi, purtroppo, anche se i popoli sono diventati più consapevoli della tragedia della guerra e inclini alla pace. Il tiranno no. Il tiranno deve alimentare di continuo sé stesso e, per farlo, ha bisogno di vittime sacrificali.
Solitamente, però, i despoti hanno fatto una brutta fine. La guerra, infatti, non piace ai popoli costretti ad imbracciare il fucile o a sganciare bombe. Per fortuna gli uomini normali che sognano una casa e un prato dove far correre i propri figli sono di gran lunga più numerosi di quelli che sognano di fare a botte o di contare i carri armati. I guerrafondai sono pochi, vero, ma purtroppo catalizzano le genti, le stregano, le manipolano a loro vantaggio.
Come possono, allora, quegli uomini di buona volontà ad avere la meglio su chi agita l’osso e colpisce? 
Forse eliminando l’osso. Se sparissero dalla faccia della terra tutte le armi, le bombe, i mezzi di distruzione?
Se lo era chiesto anche Alfred Bernhard Nobel dopo aver inventato la dinamite. 
Purtroppo anche un semplice coltello può diventare un’arma, e un paio di forbici, un forcone o un bastone da passeggio, se usati contro un uomo con intenzioni malsane, possono uccidere. 
Allora la colpa è davvero nell’intenzione, come dice Kubrik. Attrezzi normali, utili allo svolgimento di semplici funzioni, che si trasformano in armi.
Siamo noi quindi che dobbiamo cambiare. Non permettere, cioè, a nessun pazzo megalomane di prendere decisioni che ci riguardano. Invadere un’altra nazione non è cosa sensata, non ha giustificazione alcuna, è un cliché dei vecchi imperialismi. Certi uomini, evidentemente, credono ancora di vivere nei secoli passati che sono passati, ormai.
Oggi non è più tempo per guerre di conquista, campagne militari e annessioni territoriali, oggi è tempo solo di riflettere sui danni che la nostra insensatezza ha causato al pianeta che, già da tempo, si sta ribellando. Pensiamo al riscaldamento globale che fa già troppi danni e numerosi morti, evitiamo di perdere tempo nel distruggere città e vite umane! 
Ci riusciremo?  Spero di sì, anche se il Male, quello che noi identifichiamo col diavolo, è sempre e costantemente sul pezzo: creare scompiglio, vittime, produrre guerre, distruzione. Una rete fittissima di tranelli in cui noi, uomini piccoli e incoscienti, ci caschiamo sempre!

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