venerdì 4 novembre 2016

Edvard Munch, l’urlo che ci angoscia

di Marina Zinzani
(Commento di Angelo Perrone)

(ap) “L’urlo", il dipinto ad olio realizzato ad Oslo da Edvard Munch, è uno dei più famosi dipinti dell’espressionismo del ‘900. In primo piano compare una persona che grida; è simbolo di angoscia, paura, forse smarrimento. Tutta la vita del pittore norvegese ne fu segnata. Molte le interpretazioni che ne sono state date. La visione di un tramonto rosso bastò a suscitare quel senso di disperazione? Fu così devastante sentirsi piccolo nell’universo?

«Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata.
Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.” 
Edvard Munch camminava con due amici ed accadde un fatto inspiegabile, che andava oltre le normali percezioni. Cosa vide? Cosa accadde dentro di lui, tanto da vedere il cielo che diventava rosso sangue, e da sentire un urlo che si levava sopra ogni cosa, disumano e terrificante? Cosa sentì realmente solo lui, perché i suoi due amici non si accorsero di niente.
Era l’urlo del ‘900 che stava per iniziare, secolo in cui il sangue ha bagnato interi popoli, secolo di guerre, di devastazioni, di dolori inenarrabili? Era questo che captò?
Il dipinto di Munch, nelle quattro versioni che ne fece, cerca di rappresentare quell’urlo, in cui ogni cosa è deformata, partendo dalla natura che non ha più le sue forme, né i suoi colori. E anche la figura umana sembra sconnessa, quasi aliena forse di fronte a cose aliene.
Ma solo lui sente, e non i suoi amici. E infatti rappresenterà quella scena in modo quasi realistico, due uomini sono su un ponte, indifferenti. Cos’è l’indifferenza, quella che permette di non vedere il cielo rosso sangue e le cose distorte?
Il secolo del ‘900 ne ha avute tante di ferite, interi palazzi, nostre passate certezze, sono crollati. L’urlo che nessuno sente dei più poveri, di chi annega in mare fra le acque gelide e nere della notte, quella notte che sembra ingrigire anche le nostre luci del giorno, il grido di dolore soffocato di chi è rimasto indietro, di chi non ha più neanche la speranza di una vita migliore. Ed è anche un urlo di chi si sofferma e pensa, e si domanda, si chiede. Vicino a lui ci sono persone indifferenti, che non sentono niente, distanti da tutto e in fondo discretamente serene, come succede a chi non si interessa, a chi non è toccato da nulla, a chi non si indigna, e vede solo il proprio piccolo, piccolissimo mondo.
Precursore dei tempi, o rappresentazione di un dolore antico, che nasce con l’uomo? Non sapremo mai cosa accadde quel giorno. Munch ha cercato di dircelo, in qualche modo, dipingendo il quadro. E tutti, almeno una volta purtroppo, l’abbiamo sentito familiare.

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